Oggi, visita a Fatehpur Sikri, la capitale che Akbar il Grande, l’imperatore Moghul che portò l’impero al suo apogeo, fece costruire a una quarantina di chilometri da Agra e che cadde però immediatamente in disuso alla sua morte. Era una cittadella vera e propria, con abitazioni, servizi, attività commerciali e edifici religiosi intorno al palazzo imperiale, che ne costituiva il perno. Il palazzo è perfettamente conservato, ed è, manco a dirlo, fantasmagorico. E al di là dell'imponenza, qualche padiglione dal punto di vista architettonico non è proprio niente male.
Ma al di là di tutto, l’interesse della visita è riflettere sulla complessa personalità dell’imperatore, amante della cultura e patrocinatore delle arti, devoto musulmano ma affascinato dal mondo induista al punto da arrivare a teorizzare una sua personale “religione di Dio” che provasse a metterle insieme. Di questa commistione rimane traccia nel palazzo, che ha spazio anche per un tempio induista nell’harem e per decorazioni, in gran parte perse ma alcune ancora leggibili, ispirate al Ramayana. Ancora una volta in questo viaggio, uno spunto all’insegna di sincretismo e tolleranza. Il primo magari è un’utopia, ma della seconda sa Iddio se c’è bisogno.
Ma al di là di tutto, l’interesse della visita è riflettere sulla complessa personalità dell’imperatore, amante della cultura e patrocinatore delle arti, devoto musulmano ma affascinato dal mondo induista al punto da arrivare a teorizzare una sua personale “religione di Dio” che provasse a metterle insieme. Di questa commistione rimane traccia nel palazzo, che ha spazio anche per un tempio induista nell’harem e per decorazioni, in gran parte perse ma alcune ancora leggibili, ispirate al Ramayana. Ancora una volta in questo viaggio, uno spunto all’insegna di sincretismo e tolleranza. Il primo magari è un’utopia, ma della seconda sa Iddio se c’è bisogno.
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