Il pomeriggio lo abbiamo libero, e l’assistente
dell’istituto italiano, un simpatico algerino che ha vissuto per anni in Italia,
ci accompagna al museo sbagliato. Ci avevano detto che c’era un museo di belle
arti con un’incredibile concentrazione di capolavori francesi, ma invece ci
portano al palazzo del Bey: probabilmente nel cambio ci abbiamo guadagnato non
poco. Dopo quella di Rodomonte re di Algeri, scatta qui una seconda reminiscenza,
quella luzzattiana dell’Italiana in
Algeri, con il Bey dal turbante enorme irretito dalla bella Isabella. Mi
sembra di esserlo venuto a trovare: ciao, Bey!
Il palazzo fortificato è in posizione eccellente e domina il
porto, è ricoperto di belle ceramiche (di splendido gusto, ma probabilmente non
artisticamente rilevanti come quelle viste a Istanbul) e incentrate su cortili
colonnati che sembrano giardini di delizie, ombrosi e tranquilli, poggianti su
colonne tortili finemente scolpite con capitelli di derivazione bizantina. Di
nuovo, il gusto artistico e decorativo islamico rivela tutto il suo potenziale,
anche se Algeri non è forse, in assoluto, il posto migliore per rendersene
conto.
La mattina del secondo giorno, visita alla vera attrazione
di Algeri, la Casbah. Anche qui, non sappiamo nulla fino all’ultimo momento, e
ci aggreghiamo al gruppo di nostra iniziativa. Ci portano in pulmino, con tre guide
e due guardie armate per una quindicina di persone. Ok che siamo ospiti del Ministero,
ma la situazione è un po’ surreale. La Casbah è un quartiere popolare che è
ancora tale, piuttosto malfamato ma incredibilmente suggestivo. Un dedalo di
vicoli, strade in pavé, case tra il vecchio, l’antico e il cadente, donne (qui
quasi tutte velate, a differenza della parte più moderna della città), vecchi e
bambini in strada, gatti e gattini, anche qui sani e affettuosi, per quanto non
lustri e pasciuti come quelli di Istanbul. Ci fanno anche entrare in una casa,
appartenente a un corniciaio amico della guida. La visita è ad uso dei turisti,
ma l’atmosfera è autentica ed estremamente suggestiva, tanto che persino le
guardie fotografavano incuriosite. Organizzate intorno a una corte centrale, le
case qui sono multifamiliari, con servizi e cucina in comune. Sono scialbate di
bianco, probabilmente per tenere fuori il caldo, con piccole finestre e
supporti in legno che sostengono aggetti. Scendiamo la Casbah dall’alto in
basso (è, essenzialmente, un promontorio sul mare), diretti verso il pullman
che ci deve recuperare in fondo. A un certo punto ci si ferma al palazzo di
Omar Pasha, altro splendido palazzo tipo quello del Bey, trasformato in museo
della calligrafia e della miniatura. Molto, ma molto bello.
Continuiamo a scendere sotto un cielo altissimo, di un blu
profondo e brillante, con cirri che sembrano stazionare nella stratosfera e il
sole intenso e tagliente come un rasoio. Dopo il tempo uggioso dei primi due
giorni, finalmente un assaggio d’Africa.
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