L’ultimo giorno ad Agra si apre con un gioiello quasi inaspettato, la tomba di Itimad-ud-Daulah, persiano, visir dell’imperatore Jahangir.
In foto non mi aveva colpito particolarmente, ma dal vivo la tomba si rivela uno dei più squisiti risultati dell’arte Moghul, al livello del Taj Mahal se non addirittura oltre. Le piccole dimensioni ne aumentano l’incanto, ed è il primo mausoleo che avrebbe perfettamente senso anche come villa residenziale. Tutte le pareti sono decorate con intarsi raffinatissimi, e laddove in altri contesti il profluvio di decorazione sarebbe risultato stucchevole, qui conferisce ai muri la levità del ricamo. È un effetto non solo decorativo ma propriamente architettonico, ed infatti la distanza giusta da cui osservare l’edificio rimane l’usuale campo medio, che permette alla decorazione di smaterializzare i muri senza diventare lei stessa il centro dell’attenzione. Non mi era mai capitato di trovare una così assoluta consapevolezza nell’uso della decorazione in architettura, e tanto basta a inserire l’edificio in una mia personalissima top ten.
La raffinatezza di questo edificio, come anche del Taj Mahal, rende giustizia al motto che ho trovato inciso in una lapide esplicativa, e cioè che i Moghul sono passati da titani (si pensi alla severità della tomba di Humayun) a cesellatori. Ma una tale combinazione di raffinatezza e naturalezza segna un culmine magico e irripetibile, necessariamente brevissimo, oltre il quale si scivola inevitabilmente nella stanca ripetizione e nel manierismo. Ed infatti, i Moghul non furono più capaci di raggiungere questi livelli, e lo stesso può dirsi per la cultura artistica islamica nel suo complesso (Sinan, in Turchia, operava circa 50-70 anni prima), che entra di lì a poco in una fase di stagnazione di cui ancora non si vede la fine.
La giornata si chiude a Sikandra, un sobborgo a nord di Agra, con il doveroso omaggio al personaggio simbolo del periodo Moghul, l’imperatore Akbar il Grande che qui volle il suo mausoleo. Amante della cultura e tollerante ai limiti del sincretismo, come già detto parlando della sua capitale Fathepur Sikri, questo personaggio complesso e affascinante incarna valori di cui ancora oggi ci sarebbe disperatamente bisogno. A riprova della sua personalità fuori dagli schemi, anche il suo mausoleo è diverso da tutti gli altri. È ovviamente enorme e monumentale, come doveroso per un imperatore di tale potenza. Ma a parte i portali, non ha praticamente nulla del linguaggio architettonico tipico degli altri mausolei Moghul: niente cupola, niente minareti (presenti solo nel portale d’ingresso), niente camera mortuaria sotterranea (o meglio: c’è, ma è fasulla), niente gioco fra pieni e vuoti, visto che i vuoti prevalgono nettamente. Si tratta di una specie di piramide a gradoni, ogni livello sostenuto da una selva di pilastri e abbellito unicamente da chatri disposti simmetricamente. Sembra quasi lo scheletro di un edificio, come se gli mancasse il paramento esterno. C’è sicuramente una simbologia elaborata dietro a un edificio così singolare: sicuramente un desiderio di moto ascensionale, ma a parte questo chissà. Forse una dichiarazione d’intenti, un invito a guardare alla sostanza al di là della forma? Non lo so, ma sarebbe bello.
In foto non mi aveva colpito particolarmente, ma dal vivo la tomba si rivela uno dei più squisiti risultati dell’arte Moghul, al livello del Taj Mahal se non addirittura oltre. Le piccole dimensioni ne aumentano l’incanto, ed è il primo mausoleo che avrebbe perfettamente senso anche come villa residenziale. Tutte le pareti sono decorate con intarsi raffinatissimi, e laddove in altri contesti il profluvio di decorazione sarebbe risultato stucchevole, qui conferisce ai muri la levità del ricamo. È un effetto non solo decorativo ma propriamente architettonico, ed infatti la distanza giusta da cui osservare l’edificio rimane l’usuale campo medio, che permette alla decorazione di smaterializzare i muri senza diventare lei stessa il centro dell’attenzione. Non mi era mai capitato di trovare una così assoluta consapevolezza nell’uso della decorazione in architettura, e tanto basta a inserire l’edificio in una mia personalissima top ten.
La raffinatezza di questo edificio, come anche del Taj Mahal, rende giustizia al motto che ho trovato inciso in una lapide esplicativa, e cioè che i Moghul sono passati da titani (si pensi alla severità della tomba di Humayun) a cesellatori. Ma una tale combinazione di raffinatezza e naturalezza segna un culmine magico e irripetibile, necessariamente brevissimo, oltre il quale si scivola inevitabilmente nella stanca ripetizione e nel manierismo. Ed infatti, i Moghul non furono più capaci di raggiungere questi livelli, e lo stesso può dirsi per la cultura artistica islamica nel suo complesso (Sinan, in Turchia, operava circa 50-70 anni prima), che entra di lì a poco in una fase di stagnazione di cui ancora non si vede la fine.
La giornata si chiude a Sikandra, un sobborgo a nord di Agra, con il doveroso omaggio al personaggio simbolo del periodo Moghul, l’imperatore Akbar il Grande che qui volle il suo mausoleo. Amante della cultura e tollerante ai limiti del sincretismo, come già detto parlando della sua capitale Fathepur Sikri, questo personaggio complesso e affascinante incarna valori di cui ancora oggi ci sarebbe disperatamente bisogno. A riprova della sua personalità fuori dagli schemi, anche il suo mausoleo è diverso da tutti gli altri. È ovviamente enorme e monumentale, come doveroso per un imperatore di tale potenza. Ma a parte i portali, non ha praticamente nulla del linguaggio architettonico tipico degli altri mausolei Moghul: niente cupola, niente minareti (presenti solo nel portale d’ingresso), niente camera mortuaria sotterranea (o meglio: c’è, ma è fasulla), niente gioco fra pieni e vuoti, visto che i vuoti prevalgono nettamente. Si tratta di una specie di piramide a gradoni, ogni livello sostenuto da una selva di pilastri e abbellito unicamente da chatri disposti simmetricamente. Sembra quasi lo scheletro di un edificio, come se gli mancasse il paramento esterno. C’è sicuramente una simbologia elaborata dietro a un edificio così singolare: sicuramente un desiderio di moto ascensionale, ma a parte questo chissà. Forse una dichiarazione d’intenti, un invito a guardare alla sostanza al di là della forma? Non lo so, ma sarebbe bello.