Allora, vogliamo dare un’occhiata a qualcuno di questi dei induisti?
Cominciamo dalla trimurti: Brhama, Vishnu e Shiva, il creatore, il preservatore e il distruttore.
Del povero Brhama, diciamolo subito, non frega niente a nessuno. Ha un solo tempio in tutta l’India, a un’oretta da Jaipur. Ha quattro facce e una l’ha persa bruciatagli da Shiva (fail).
Vishnu e Shiva invece sono infinitamente più popolari, le vere superstar dell’induismo.
Shiva è una specie di Dioniso, un dio che vive di slanci e eccessi. Da una parte è il più grande degli asceti (l’ascetismo è slancio interiore), dall’altra va in giro nudo a insidiare le donne. È venerato anche tramite il lingam, il simbolo fallico, il che è tutto dire. È anche un notevole ballerino, noto per la sua danza cosmica. Ha tagliato la testa al figlio e poi gliene ha riattaccata una da elefante. È il distruttore del mondo ma farebbe qualunque cosa per i suoi devoti, per cui la gente lo ama. Ha un tridente, capelli scarmigliati, serpenti intorno al collo. Viaggia su un bue. Di sicuro sembra il tipo da invitare alle feste.
Vishnu, il preservatore, è invece un tipo più ammodino. È un protettore di natura, per cui quando si profila un pericolo per l’ordine cosmico interviene con una delle sue incarnazioni, o avatar. Quelle canoniche sono dieci, che spaziano da una tartaruga gigante usata per frullare l’oceano (don’t ask) all’eroe Krishna fino a Budda. Se fosse originario dell’India, anche Gesù sarebbe stato un perfetto avatar di Vishnu. Ha una corona in testa, e in mano porta un anello di fuoco e una conchiglia. Viaggia su un uccello gigante. Rispetto a Shiva, sembra più il tipo da sposare.
Poi c’è appunto Krishna. Si potrebbe dire che è un avatar di Vishnu e chiuderla lì, se non che c’è chi pensa che sia invece Vishnu ad essere un avatar di Krishna. Allevato da pastori, passa l’infanzia a combinare marachelle e una giovinezza da debosciato ad amoreggiare un branco di pastorelle, prima fra tutte la favorita Radha. Poi di colpo scopre la sua vocazione di eroe guerriero: prima sconfigge un demone, poi aiuta i cinque fratelli Pandava a sconfiggere i loro cugini, gli usurpatori Kaurava. È scuro di pelle e abilissimo con l’arco.
Ganesha è il povero figlio di Shiva con la testa da elefante. È il dio del successo, per cui è molto invocato e la sua effige è su tutte le porte. Viaggia su un topo.
Basta? Ce ne sono innumerevoli altri, e le dee, poi, meriterebbero un post tutto loro.
E la cosa davvero divertente di questi personaggi che sembrano usciti da un cartone animato, è che ogni sfumatura, attributo o episodio mitico cela un profondo significato simbolico, con una stratificazione filosofica e teologica di millenni. Massimo rispetto.
Cominciamo dalla trimurti: Brhama, Vishnu e Shiva, il creatore, il preservatore e il distruttore.
Del povero Brhama, diciamolo subito, non frega niente a nessuno. Ha un solo tempio in tutta l’India, a un’oretta da Jaipur. Ha quattro facce e una l’ha persa bruciatagli da Shiva (fail).
Vishnu e Shiva invece sono infinitamente più popolari, le vere superstar dell’induismo.
Shiva è una specie di Dioniso, un dio che vive di slanci e eccessi. Da una parte è il più grande degli asceti (l’ascetismo è slancio interiore), dall’altra va in giro nudo a insidiare le donne. È venerato anche tramite il lingam, il simbolo fallico, il che è tutto dire. È anche un notevole ballerino, noto per la sua danza cosmica. Ha tagliato la testa al figlio e poi gliene ha riattaccata una da elefante. È il distruttore del mondo ma farebbe qualunque cosa per i suoi devoti, per cui la gente lo ama. Ha un tridente, capelli scarmigliati, serpenti intorno al collo. Viaggia su un bue. Di sicuro sembra il tipo da invitare alle feste.
Vishnu, il preservatore, è invece un tipo più ammodino. È un protettore di natura, per cui quando si profila un pericolo per l’ordine cosmico interviene con una delle sue incarnazioni, o avatar. Quelle canoniche sono dieci, che spaziano da una tartaruga gigante usata per frullare l’oceano (don’t ask) all’eroe Krishna fino a Budda. Se fosse originario dell’India, anche Gesù sarebbe stato un perfetto avatar di Vishnu. Ha una corona in testa, e in mano porta un anello di fuoco e una conchiglia. Viaggia su un uccello gigante. Rispetto a Shiva, sembra più il tipo da sposare.
Poi c’è appunto Krishna. Si potrebbe dire che è un avatar di Vishnu e chiuderla lì, se non che c’è chi pensa che sia invece Vishnu ad essere un avatar di Krishna. Allevato da pastori, passa l’infanzia a combinare marachelle e una giovinezza da debosciato ad amoreggiare un branco di pastorelle, prima fra tutte la favorita Radha. Poi di colpo scopre la sua vocazione di eroe guerriero: prima sconfigge un demone, poi aiuta i cinque fratelli Pandava a sconfiggere i loro cugini, gli usurpatori Kaurava. È scuro di pelle e abilissimo con l’arco.
Ganesha è il povero figlio di Shiva con la testa da elefante. È il dio del successo, per cui è molto invocato e la sua effige è su tutte le porte. Viaggia su un topo.
Basta? Ce ne sono innumerevoli altri, e le dee, poi, meriterebbero un post tutto loro.
E la cosa davvero divertente di questi personaggi che sembrano usciti da un cartone animato, è che ogni sfumatura, attributo o episodio mitico cela un profondo significato simbolico, con una stratificazione filosofica e teologica di millenni. Massimo rispetto.
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