giovedì 17 dicembre 2015

C'è Dio e Dio (forse)

Ho grande simpatia per gli dei induisti. Sorridono sempre, propongono una via d’accesso amichevole alla divinità, che non fa leva sulla paura né sul senso di colpa. In realtà, per quanto il loro background mitico sia complesso e stratificato, i primi ad essere consapevoli che quei personaggi e le loro storie sono solo miti sembrano proprio gli induisti. Considerato che lo status degli dei è sì infinitamente superiore a quello umano, ma che in definitiva anch’essi “esistono”, e dunque non si sono ancora liberati dalle catene dell’esistenza e dal ciclo delle continue rinascite (sempre che non si voglia considerare anche quella della reincarnazione una favola per bambini e risolvere così il problema una volta per tutte), diventa chiaro che si tratta in realtà di simboli, di vie diverse e tutte ugualmente valide verso un Buco Nero Metafisico intorno al quale tutti quanti orbitano, ci sia dentro un dio personale come Vishnu o Shiva (ma potrebbe anche essere Budda, Gesù o Allah) o un principio astratto come il Brahman, il Tao o il Nirvana (ma potrebbe anche essere un generico Grande Mistero dell’Essere). In definitiva, gli dei induisti sono solo dei mediatori. Con la differenza che, mentre altri mediatori presenti in altre fedi (nel Cristianesimo, ad esempio, penso alla Madonna, agli Angeli e ai Santi) rendono esplicita questa loro funzione richiamando continuamente l’attenzione verso il Buco Nero, questi non lo fanno. È come se dicessero: è ok se credi in me anche senza vedere il Buco Nero alle mie spalle, ed è ok se invece credi a un altro dio, ed è ancora ok se un tuo compagno crede ancora in un altro, perché comunque, in ogni caso, vi staremo trascinando tutti verso il Buco Nero, che ne siate consapevoli o meno. In questo senso, il politeismo induista ha in sé un germe di tolleranza. Poi, in quanto religione e dunque portatrice forte di identità, è benissimo capace di generare i suoi fanatismi e di provocare disastri (le caste, l’immolazione delle vedove, le faide con i Musulmani, eccetera). Ma la stessa cosa vale per il Cristianesimo, l’Islam e per qualunque altra fede che, a un certo punto, abbia posto la questione identitaria del “noi” (i giusti, i veri credenti, i “civilizzati” etc.) contrapposti a “loro” (i pagani, gli idolatri, gli eretici, i “selvaggi” etc.).
La natura mediatrice del politeismo induista mi sembra affine a quella dello shintoismo giapponese, con la differenza che lì siamo di fronte più propriamente a un animismo, e gli dei, che pure ci sono, sono più ieratici e meno divertenti. Anche lo stesso Budda rientra bene nella categoria, creatore di una “religione senza Dio” trasformato in divinità a sua volta, e non è un caso che fosse indiano e induista nello stesso senso in cui si può dire che Gesù era Ebreo.
Ben diversi erano invece gli dei greci, che non rimandavano ad altro che a loro stessi, a un mondo umano divinizzato in cui valevano, in definitiva, le stesse passioni e ingiustizie, senza un principio ordinatore più elevato, di fatto lasciato alla libera speculazione dei filosofi.

Questi dei mediatori sono accompagnati da scritture non dogmatiche e sommamente interpretabili come i Veda, che non hanno risposte chiare su moltissimi punti. Anche nel Mahabarata, il buon Yudishtira che interroga Bhisma sul letto di frecce non fa che lamentarsi della contraddittorietà delle scritture, e gli viene opposta la necessità di studio, meditazione e interpretazione, compito riservato ai bramini.



Pensavo a queste cose approfondendo le storie di questi strani dei, o riflettendo sul culto Baha’i del tempio del Loto che ho visto a Dehli (il quale culto, per inciso, al di là del messaggio di fondo per me condivisibile aveva un bel po’ di problemi tutti suoi, come un fondatore che proclamava di essere Gesù Cristo redivivo, per dire), o alla disinvoltura ai limiti della più spudorata faccia tosta con cui gli induisti hanno reintegrato il Buddismo, nato come dottrina dissidente e riassorbito considerando Budda una semplice reincarnazione di Vishnu. Ma la vera epifania c’è stata quando, all’esterno di un tempio di Jaipur, oltre alla massa di dei induisti trovo scolpiti, sullo stesso piano gerarchico degli altri, Gesù, la Madonna, Mosè, Zoroastro, Confucio e persino Socrate (il quale, ahimè, era forse l’unico a non entrarci nulla). Quando ho chiesto il perché alla guida indiana che mi accompagnava, e che poco prima si era prostrato con devozione (compiendo per di più una rakka musulmana) davanti a Vishnu e alla sua consorte Lakshmi, mi ha risposto, come fosse la cosa più ovvia del mondo, che gli induisti non vedono alcuna contraddizione fra la loro e le altre fedi religiose. È come se dicesse che, poiché tendono tutti verso lo stesso Buco Nero, tutti gli dei sono parte dello stesso pantheon. E dunque? Siamo tutti un po’ induisti?




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