martedì 15 dicembre 2015

Delhi, giorno 3


Lo scorgo da lontanissimo, a sovrastare il deprimente paesaggio di un sobborgo meridionale di Delhi. Un dito medio. Un gigantesco dito medio alzato in faccia al mondo. È questa l’impressione che ho avuto di fronte all’impressionante minareto di Qutb, costruito da Qutb ad-Din Aibak, il sovrano musulmano che sconfisse gli Indù nel XII secolo e inaugurò il Sultanato di Dehli (ben prima dei Moghul, dunque, a riprova ulteriore di quanto l’Islam sia stato fondamentale nella storia dell’India settentrionale). Il sovrano era originario dell’Asia centrale, non mongolo dunque, ma quasi: e infatti ho provato davanti alla sua opera quelle stesse sensazioni di potenza che, secondo i libri, trasmettono le realizzazioni di quei popoli seminomadi, che spero un giorno di poter vedere dal vivo.




In soldoni, il minareto di Qutb è un’opera di un’arroganza senza pari. Non è un vero minareto, per quanto intorno ci fosse comunque una moschea, ma una torre della vittoria, un segno di supremazia e dominio piantato plasticamente in un territorio a reclamarne indiscutibilmente la sovranità. È altissimo (72 metri), e le foto non gli rendono minimamente giustizia. Ed è anche bellissimo: la pianta a stella, la rastrematura accentuata, i costoloni vigorosi, le fasce di scritte coraniche meravigliosamente decorate, i cinque terrazzamenti a muqarnas scolpite in pietra rossastra. È anche perfettamente conservato, a differenza della moschea, la più antica d’India, che invece è in rovina. L’arroganza è evidente anche in quella, a partire dal nome, Quwwat al-Islam Masjid, moscha Potenza dell’Islam, costruita usando materiale ricavato da 27 templi indù e jain distrutti. Le colonne infatti sono tipicamente induiste: segmentate e decorate all’inverosimile, anche se gli aniconici islamici hanno eliminato ogni rappresentazione antropomorfa lasciando solo ornamentazione geometrica e vegetale, in linea con i loro criteri estetici.





Nella moschea c’è anche la tomba di Iltutmish, il primo Sultano di Dehli in senso proprio nonché il primo sovrano musulmano a costruire una tomba dinastica, concetto sconosciuto in India dove era in uso la cremazione dei cadaveri. È parzialmente in rovina (la cupola è assente), ma ancora perfettamente leggibile: un semplice cubo rosso, sobrio e spoglio all’esterno, quasi modesto, decorato all’interno con motivi di grande raffinatezza. Specie se confrontato con l’arroganza del minareto lì accanto, traspare un senso di umiltà da questa sepoltura, un sentimento religioso autentico. Peccato che subito dopo ci sia un rilancio di arroganza ancora maggiore, nella forma di un troncone di quello che doveva essere un minareto ancora più grande. Ma stavolta l’orgoglio è stato eccessivo ed è stato giustamente umiliato, visto che il moncone giace tristemente incompiuto. Arroganza, umiltà, ancor più arroganza, punizione: quasi come una parabola iscritta nella pietra.



Nel cortile della moschea svetta una colonna di ferro induista che risale all’impero Gupta (IV-VII secolo), un prodigio di metallurgia che impiega tecniche anticorrosione che saranno eguagliate solo nell’800. E con questa gli induisti non dico che pareggino, ma accorciano degnamente le distanze.

Il pomeriggio visito un’altra tomba Moghul, l’ultima. Si tratta del monumento funebre di Safdar Jang, un nobile molto potente. È stata realizzata nel ‘700, quando la dinastia era ormai agli sgoccioli, ed è considerata l’ultima scintilla dell’architettura Moghul prima della fine.


In effetti il risultato è elegante, ma si nota un gusto ormai estenuato, quasi decadente nell’eccesso di ornamentazione. Specie vista dall’ingresso, inquadrata da un viale di palme e coronata dalla cupola a meringa, pare una visione uscita dalle Mille e una notte; ed infatti racchiude tutte le suggestioni esotiche che definiranno nell’immaginario collettivo un’idea del mondo musulmano tutta sfarzo e orpelli, lontana dalla vigorosa semplicità o dall’eleganza delle realizzazioni migliori.




Poiché non è un monumento dei più noti non c’è quasi nessuno, eccetto una scolaresca in gita scolastica, tutti con le loro belle uniformi blu. Sono allegri, chiassosi ed entusiasti, ed incuriositi dallo straniero si avvicinano e iniziano una conversazione in un inglese basilare. Sto al gioco, ed alla fine ne esce un video divertente, che per qualche motivo non riesco a caricare.

L’ultima visita della giornata è a un edificio simbolo della Dehli moderna, il tempio del Loto, sede del culto Baha’i, fondato nel 1863 da un religioso persiano, che proclama la sostanziale unità di tutte le religioni, considerate tutte sfaccettature di un unico principio divino. Purtroppo lo trovo chiuso, ma in definitiva va visto dall’esterno, ed è curioso vederlo apparire da lontano, anche questo in un anonimo sobborgo del sud di Dehli, come un fiore gigante che stia spuntando dal suolo.





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