martedì 2 giugno 2015

Sede Mondadori, Segrate

Opera dell’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, il principale artefice di Brasilia, la sede Mondadori a Segrate è uno di quegli esempi di committenza privata illuminata che negli ultimi decenni (l’edificio in questione è del 1975) è drammaticamente mancata. Innanzitutto non è un grattacielo, e non si trova in uno dei tanto strombazzati “centri direzionali”, ma in un’anonima – ancorché ben raggiungibile – periferia milanese. L’integrazione col verde circostante, le curve vigorose, il gioco dei pieni e dei vuoti, le strette arcate che richiamano le fiancate delle cattedrali ne fanno uno degli edifici simbolo di un’architettura aziendale attenta ai valori del bello, del simbolo, della qualità della vita.

Aziende, prendete esempio.




Le tombe dei Ming e la Grande Muraglia

Oggi giornata di tour, con altri stranieri raccattati per tutti i grandi hotel di Pechino. Si comincia dalle tombe dei Ming, una cittadella funeraria a nord della città dove è sepolta tutta la dinastia. Visitiamo la tomba del fondatore, la più imponente. Dopo un ingresso monumentale, preceduto da una via sacra con gigantesche statue di animali, si erge un tozzo torrione che domina il panorama circostante, con i tipici alberi contorti che si vedono spesso nei dipinti cinesi, che scopro con soddisfazione esistere davvero e non essere solo un’invenzione artistica. Nel torrione, una gigantesca stele celebra l’imperatore. La tomba vera e propria in realtà è interrata nella collina sottostante, e a quel che dice la guida non è mai stata aperta, per il rispetto che le culture orientali portano verso i defunti, ma anche per non correre il rischio di rovinare irrimediabilmente l’interno con un afflusso incontrollato di ossigeno. La guida ci spiega anche che la tomba è perfettamente allineata con l’asse centrale della Città Proibita, quello riservato all’imperatore, e ci fa notare che anche Mao è sepolto lungo lo stesso asse, ad ulteriore dimostrazione della volontà di legittimazione della dinastia comunista.




Ce ne andiamo dalla tomba passando sotto il portale con due Pi Xiu che si affrontano, animali mitologici popolarissimi che garantiscono prosperità grazie alla loro capacità di assorbire ricchezza all’infinito senza rilasciarla mai perché… non hanno buco del culo! In questo caso i due Pi Xiu non sono rivolti verso l’esterno, a richiamare ricchezza, ma disposti in modo da mantenere la ricchezza della tomba al suo interno, una sorta di protezione magica contro i tombaroli.


Dopo la cittadella Ming, pausa pranzo presso un ristorante statale annesso a una fabbrica che lavora la giada, con souvenir certificati in vendita e pezzi incredibili in esposizione. Compro una sfera Drago-Fenice, un talismano per la felicità di tutta la famiglia, tre sfere intagliate una dentro l’altra a partire da un unico blocco di giada. E poi via per la Grande Muraglia.


La Grande Muraglia è qualcosa di incredibile, che va vista dal vivo per essere compresa a pieno. Nonostante quello di Badaling sia solo un tratto, per quanto molto scenografico, l’impressione di questa muraglia che si perde all’infinito, seguendo le asperità del terreno, sui denti seghettati e irregolari delle montagne, su e giù, giù e su, a volte ripidissima, con le torri di guardia che si inerpicano come navi sulle onde di un mare in tempesta, è fortissima.
Da una parte la Cina, dall’altra la Mongolia; da una parte gli stanziali, dall’altra i nomadi; da una parte la civiltà, dall’altra i barbari: servono forse altre suggestioni? Storicamente non è mai servita a gran che, ma come simbolo parla forte e chiaro ancora oggi.

E poi c’è la fauna umana: un mare di turisti, colorati, variopinti, amichevoli, sempre pronti a chiedere una foto in compagnia dell’esotico straniero. E davvero questa è stata anche l’occasione migliore per osservare da vicino la nascente classe media cinese, così inaspettatamente simile a noi da fare impressione. La stanchezza del viaggio si fa sentire a livelli estremi, ma quando mi ricapita? Decido di mettermi in marcia dalla torre più vicina alla successiva, e comincio a inerpicarmi come tutti gli altri, su e giù, onda e risacca, cresta e rimbalzo, e via, e via. La fatica inaspettata mi scolpisce in corpo un ultimo, indelebile ricordo.


Mongolia 



I Templi di Pechino


Il Tempio del Cielo è obiettivamente meraviglioso. Con la sua forma circolare perfetta, col suo blu squillante (il colore del cielo, appunto), che nelle foto non risalta così tanto, con il suo ruolo ai vertici di un sistema cultuale simbolico che costituiva la massima espressione della legittimazione imperiale, è impossibile avvicinarcisi senza percepirne i molteplici significati. Certo, gli attuali leader comunisti non celebrano più sacrifici al cielo per chiedere raccolti favorevoli, ma il simbolo centrale rimane intatto. Il tempio è oggi frequentatissimo da turisti e da locali, che praticano il tai-chi, giocano a giochi tradizionali come quello che, in mancanza di termini migliori, chiamerò “calcetto a tre sincronizzato” (un gioco in cui tre persone palleggiano a turno una piccola palla mantenendola in aria il più possibile), eccetera. È un posto vitalissimo, dove fermarsi a osservare la folla è altrettanto interessante che osservare le strutture del tempio.




Il tempio dei Lama è una sequela di cortili circondati da padiglioni, pieni all’inverosimile di statue, dipinti ed altri oggetti di culto. L’aria è impregnata del fumo dei bastoncini di incenso acceso dai fedeli nelle numerose incensiere, ed anche qui la folla comprende varia umanità, fedeli e turisti, locali e stranieri, sacro e profano.






Molto più raccolto e severo è il vicino tempio di Confucio, che venire qui e non rendere omaggio a Confucio sarebbe stato impensabile. Il tempio rende omaggio al filosofo divinizzato, ed è interessante vedere l’uso ufficiale, prima che religioso, che ne è stato fatto. Enormi steli sul dorso di enormi tartarughe commemorano campagne militari coronate da successo, e su altre steli nel primo cortile sono addirittura riportati tutti i cinquanta e rotti mila letterati che, dalla dinastia mongola in avanti, hanno superato il sistema degli esami imperiali.




Cina, giorno 2

Affrontare il drago cinese senza partire dalla testa è impensabile. La storia della Cina è quella di un’area immensa caratterizzata da un’assoluta identità culturale, e sul versante politico e ideologico questo ha significato l’elaborazione i strumenti adatti a legittimare questa unità. L’intera storia della Cina è caratterizzata dall’ossessione ineludibile per l’impero centralizzato, versione politica della necessità, avvertita da tutti, di portare a unità questa enorme comunità culturale che si è sempre sentita il centro del mondo. Da qui le ideologie delle varie dinastie, cinesi e straniere, da qui il culto degli antenati, da qui l’efficacissima dottrina para-religiosa del “mandato celeste” e dell’imperatore come “figlio del cielo” (senza bisogno di chiarire ulteriormente cosa realmente in cielo ci fosse, lasciando così spazio a una relativa libertà in tal senso), da qui Confucio e tutto il resto. Tutto ciò in nome dell’unità della Cina, la “terra centrale”, identificata tout court con la civiltà, al di fuori della quale ci sono solo barbari. Interessante era capire a quanto di questa concezione abbiano dovuto rinunciare per entrare nell’età moderna. A molto poco, parrebbe. Basta un’occhiata superficiale al complesso composto da piazza Tienanmen e dalla Città Proibita per rendersene conto. Il faccione di Mao che campeggia sulla facciata della massima espressione del potere cinese dai Ming in avanti, la stessa piazza con la sua architettura e i suoi simboli, il mausoleo di Mao col corpo esposto e quasi divinizzato, posto per di più sullo stesso “asse sacro” riservato agli imperatori e lungo il quale è sepolto il primo imperatore Ming, sono tutte prove evidenti che testimoniano la volontà dei comunisti di ricercare una legittimazione nel segno della continuità, a parte forse il decennio di sbandamento della Rivoluzione Culturale. La stupefacente disinvoltura con cui la Cina di Deng (che non ha caso ho sentito glorificare come il miglior leader della Cina moderna) ha abbandonato l’ideologia comunista per ricavare al partito un ruolo di potere meramente “dinastico” slegato dalla teoria economica dice già tutto.




Tutto ciò per dire che la Città Proibita è ben di più di un sito archeologico, ed è evidente che di questo bisogna tener conto nella visita. È un enorme complesso palaziale strutturato secondo un asse nord-sud, con i padiglioni imperiali sull’asse centrale caratterizzati dai tetti di un bel giallo smaltato, il colore dell’imperatore, che sotto il sole risplendono a dare una vista davvero imperiale. Bello? Alcune cose sì, ma interessante e impressionante molto più che bello. L’ufficialità della funzione è preminente rispetto ai valori estetici, e a questo proposito, generalizzando molto, si può dire che se quella cinese è l’architettura dell’ufficialità, quella coreana è impregnata di un senso etico confuciano (modestia, decoro, assenza di ostentazione etc.) legata al suo ruolo di piccola potenza schiacciata fra vicini molto più forti, mentre quella giapponese si caratterizza proprio per un raffinamento del senso estetico che è tutto loro.






Pechino, giorno 1

Arrivato a Pechino dopo uno sfiancante viaggio in notturna, decido subito di dirigermi verso piazza Tienanmen, che dista un paio di chilometri. 

La sobrissima stazione centrale di Pechino è proprio di fronte al mio hotel

La prendo come una passeggiata per cominciare a guadarmi intorno (tanto per il ritorno c’è la metro) e la raggiungo all’imbrunire. Mi si para davanti in tutta la sua evidente contraddizione. La piazza è enorme, tutta circondata dalle severe architetture del realismo socialista, e tuttavia aperta proprio di fronte alla Città Proibita, la massima espressione dell’ideologia centralizzata della Cina imperiale. Il faccione sorridente di Mao appeso sul portale della Città Proibita rende evidente il tentativo di ricollegarsi a quella tradizione, quasi che i comunisti fossero una dinastia come le altre, quella a cui, in questa fase storica, è stato conferito il “mandato celeste”. A ulteriore contraddizione, tutto intorno ci sono i segni del recente capitalismo cinese, a sbugiardare completamente quell’ideologia collettivista, evidentemente accessoria, nel cui nome la piazza era stata apparentemente costruita. Mi chiedo cosa ne avrebbe pensato il presidente Mao.





Primavera a Tokyo

La trasferta giapponese è passata in giornate dense come la colla, senza che abbia potuto documentare gran che. C’è stato molto da fare, sempre in giro fra impegni e appuntamenti; in più, la presenza di compagni di viaggio dall’Italia e dall’estero ha dato alle serate un’inedita dimensione sociale. È stata una trasferta molto stancante, ma interessante a livello professionale e molto divertente a livello personale. Mi resteranno nella memoria l’onsen all’hotel di Makuhari, il delirio dentro lo Shibuya 109 (che conferma ampiamente tutto quanto letto in giro), le bevute con i compari di Angoulême, le performance di quella vecchia volpe di Nakamura-san, e soprattutto questo:


Abbiamo avuto la fortuna di essere in Giappone per l’hanami, la fioritura degli alberi di ciliegio che esprime le radici più profonde del senso estetico giapponese: la bellezza come evento effimero, da contemplare e festeggiare insieme. Ne abbiamo visto un primo assaggio al parco di Ueno, con torme di giapponesi allegri se non alticci ad effettuare il tradizionale picnic sotto gli alberi. 


Ma andando in giro per Tokyo abbiamo assistito a una ben più spettacolare esibizione vicino all’Istituto Italiano di Cultura:




E poi ancora in notturna, lungo un canale, a un party improvvisato in cui ho conosciuto il mangaka Atsushi Kaneko.



Spero che, quando passerò da Tokyo per un’ultima mezza giornata bonus, ci siano ancora.

Il Comic Market Special

Ed eccoci dunque, di nuovo, al Comic Market. In realtà si tratta di un’edizione speciale (il Comic Market Special, per l’appunto), che ogni cinque anni si aggiunge alle due edizioni annuali. Molto più piccolo di quello regolare, e per questo esplorabile senza il soverchiante senso di spaesamento che caratterizza il fratello maggiore, resta comunque molto interessante. Anche perché stavolta resto due giorni, e posso osservare l’impressionante cambio di popolazione fra il primo e il secondo, con un’inversione di genere pressoché totale. Passare dal porno più esplicito allo yaoi, spesso non meno spinto, è un cambiamento che sorprende anche chi, come me, era preparato e se lo aspettava. La presenza di un interprete, poi, stavolta ha reso possibile un’esplorazione molto più dettagliata. Resto comunque dell’idea che è soprattutto un interessante fenomeno sociale. E a parte il fatto, tutt’altro che trascurabile, che si tratta delle fondamenta dell’intera costruzione del manga giapponese, non esprime in sé rilevanti valori culturali. In questo senso i paragoni con i festival occidentali, Lucca in primis, non hanno né avevano il minimo senso.