sabato 17 gennaio 2015

Istanbul, giorno 6

L’ultimo giorno se ne va in crociera sul Bosforo, su fino al Mar Nero. Da una parte è l’occasione per constatare l’enorme estensione della recente inurbazione di Istanbul, dall’altra per ammirare una serie di palazzi e dimore signorili in legno che danno qualche giustificazione al mito della capitale dei Sultani come giardino di delizie. C’è poi il fatto che lo stretto, proprio per la sua posizione strategica, è stato testimone di fatti storici di prima grandezza, come il ponte di barche di Dario e lo stesso assedio a Costantinopoli da parte dei turchi. La crociera finisce a Anadolu Kavaği, paesino di pescatori sulla riva asiatica convertito in conglomerato di ristoranti di pesce ad uso turisti. Il paese è sovrastato dai resti di una fortezza fondata in età romana, che sorveglia l’ingresso al Mar Nero, oggi presidiato da due enormi fari. Il traffico di navi, anche gigantesche, è impressionante. Resto ad osservarlo per un po’, a pensare a quanto vasto e bello è questo mondo.






Qualche riflessione sull'Islam

La realtà è sempre più complicata di come la dipingiamo. Mi capita spesso di sospendere il giudizio a fronte di quella che percepisco come una drammatica mancanza di informazioni, tanto più singolare in quest’epoca di cosiddetta informazione globale, in realtà più assimilabile a una cacofonia di rumori di fondo, come una radio mal sintonizzata. E dunque, dopo averlo visto un po’ di persona, cosa posso dire sull’Islam, specie in questi tempi oscuri segnati da episodi drammatici come quello di Charlie Hebdo? Molto poco in realtà, che qualche viaggio e qualche libro non saranno mai sufficienti. Ma bisogna pur provare.
  • È una religione nata da nomadi, e si vede. La preghiera verso la Mecca e il pellegrinaggio una volta nella vita richiamano la mentalità di chi non ha una patria che lo definisca, se non un quasi mitico "altrove". Per molto meno (il “primato di Roma”, dichiarazione impegnativa ma comunque meno forte della sacralità della Mecca) il Cristianesimo è andato in mille pezzi.
  • Il fatto di non avere una casta sacerdotale (la quale sarebbe a sua volta un elemento di derivazione orientale, stavolta ereditato dal Cattolicesimo) che si fa interprete del volere divino è di sicuro un elemento che la rende molto accessibile alle masse. Non che manchino i condizionamenti sociali (ne parlo più avanti), ma sono trasmessi in altro modo. Per contrasto, il problema storico del Cristianesimo è stato proprio quello di una casta sacerdotale che, forte del suo potere di mediazione col divino, si corruppe al punto da rendere necessaria una “riforma”. Ancora oggi il dubbio sotto sotto permane, anche fra i fedeli, che spesso i sacerdoti dicano “obbedite a Dio” intendendo in realtà “obbedite a NOI”.
  • È una religione anti-intellettualistica, e questo è un altro elemento di grande attrattiva anche verso gli umili. Non che manchino dotti, sapienti, scuole coraniche e quant’altro, ma di base i contenuti dottrinari sono ridotti a un monoteismo assoluto di fronte al quale l’unico atteggiamento possibile è quello della sottomissione, dell’obbedienza senza discussione. Del resto, chi potrebbe “discutere” o provare a “capire” Dio? Che senso ha tutta la nostra teologia, tutta la nostra metafisica? Nessuno: Dio è al di là del nostro orizzonte, è radicalmente e totalmente trascendente. Ogni sforzo intellettuale teso a chiarire la natura di Dio è destinato al fallimento. Lui ci ha parlato attraverso le scritture, e il massimo della nostra azione umana è arrivare a una corretta interpretazione di quelle. A contrasto, il Cristianesimo si è innestato sulla cultura greca, che nella filosofia ha il germe da cui è scaturita tutta la cultura occidentale come oggi la conosciamo. Il risultato è che oggi il Cristianesimo si trova in difficoltà anche per questioni dottrinarie, laddove dottrine tutto sommato accessorie rispetto al cuore del Vangelo, come trinità, peccato originale, esistenza e natura dell’anima, immacolata concezione, infallibilità del papa e quant’altro, finiscono per non essere accettabili al mondo di oggi. È un residuo della stessa natura ma molto più duro da scalfire rispetto a quel nocciolo di questioni tutto sommato minori, come creazione, moto degli astri, evoluzione e affini, che hanno creato le coordinate storiche del conflitto scienza-fede. È stato interessante trovare in uno dei cartelli esplicativi esposti fuori da una moschea la sottolineatura esplicita che “l’Islam non è in contrasto con le scienze moderne”. E questo perché, semplicemente, le scienze sono cose umane, e l’Islam di queste non si occupa.
  • È una religione egualitaria. Per tutti gli aspetti di cui sopra, tutti i credenti sono uguali di fronte a Dio, con l’unica possibile eccezione del Califfo, che, se esistesse (il ruolo al momento è vacante: in teoria il Califfo, successore di Maometto, sarebbe il capo della comunità universale dei credenti, entità sia religiosa che politica che dovrebbe riunire tutti i musulmani del mondo – ma è un discorso complicato), avrebbe delle responsabilità diverse. È un altro motivo di appeal verso gli umili, che nel loro status di credenti non sono affatto diversi dai potenti.
  • Anche dal punto di vista di un intellettuale, il fatto che l’Islam schivi completamente tutte le pastoie dottrinarie del Cristianesimo e proponga un’esperienza religiosa basata su una trascendenza radicale può essere una posizione che esercita un certo fascino. È chiaro che questo tipo di religiosità si presta in modo particolare a slanci mistici, ed è indubbio che abbia anche prodotto risultati artistici di grande qualità: penso in particolare all’architettura (anche se, come ho già scritto in un post precedente, per farlo si sono appropriati di tradizioni altrui), alla calligrafia, che della “parola di Dio” ha fatto un’arte, alle arti decorative vere e proprie, che poi semplicemente decorative non sono, visto che tutti gli arabeschi musulmani simbolizzano al massimo grado di astrazione il concetto base dell’islam, ovvero l’unicità divina (che di solito dell’arabesco è il centro) da cui si irradia il tutto.
  • È una religione formale: per quanto l’aspetto etico non sia certo secondario, i precetti musulmani fondamentali, i cosiddetti cinque pilastri dell’Islam, riguardano tutti l’adempimento di precetti formali: prega cinque volte al giorno, fai il pellegrinaggio, rispetta il Ramadan eccetera. Al confronto, il precetto base del cristianesimo si riassume in quel “ama il prossimo tuo come te stesso”, altrettanto radicale e storicamente irrealizzabile, ma indubbiamente etico.
  • A dispetto dell’apparenza, che vede il fedele libero nel suo rapporto individuale con Dio, è una religione socialmente pervasiva. Una delle cose che mi hanno più dato da pensare nel soggiorno a Istanbul è stato il canto dei muezzin, che cinque volte al giorno risuona in modo sincronizzato da ogni minareto della città. Le moschee magari si riempiono, ma la maggior parte della popolazione continua indisturbata nella sua vita quotidiana, a riprova che, anche nei paesi musulmani, la maggior parte dei fedeli sono fedeli “tiepidi”. Ma quel canto ripetuto ha anche valenza di atto pubblico: ricorda a tutti della loro posizione rispetto a Dio e al tempo stesso identifica e caratterizza la comunità. È un segno che rafforza l’appartenenza. Religiosamente parlando, è marcare il territorio con efficienza persino aggressiva. Penso che lo stesso Ramadan, in quanto rito collettivo, abbia più che altro la valenza di cementare l’appartenenza alla comunità che non quello di reale esercizio spirituale. Mi domando quanto possa essere difficile in un simile contesto sviluppare un’identità alternativa, per chi anche lo volesse. Al contrario, da questo punto di vista il cristianesimo è molto più discreto, e non richiama continuamente tutti all’ordine. Personalmente apprezzo.
  • Se confrontata col Cristianesimo, è una religione molto meno umanista. La posizione dell’uomo rispetto a Dio è di totale e assoluta sottomissione alla sua volontà, perché qualunque altra opzione sarebbe semplicemente impensabile. Il Cristianesimo invece, con l’incarnazione e il suo “uomo a immagine e somiglianza di Dio” lancia un messaggio profondamente umanista. Se a questo si aggiunge il fatto che si è saldato con una cultura sommamente umanista come quella greca, quello che emerge è un inconfondibile umanesimo cristiano, anche se a volte i sacerdoti tendono ad offuscarlo.
  • Mi pare in definitiva una religione con caratteri tali da dargli potenzialmente grandi capacità di attrazione. È anti-intellettualistica, vigorosamente mistica, semplice ed egualitaria nei suoi principi di base. Anche storicamente si è espansa sull’onda di dilaganti conquiste militari, a loro volta sostenute da fervore religioso. Gli exploit intellettuali sono stati ugualmente raggiunti tramite analoghi slanci, perché nell’Islam tutto è “a maggior gloria di Dio”. Ma una volta che lo slancio iniziale si è esaurito, l’Islam esprime una cultura che non sembra capace di ulteriori sviluppi. Se l’unico orizzonte è la totale sottomissione al divino, quel che resta a livello umano sembrano essere stasi e uniformità. A livello storico, questo potrebbe spiegare l’obiettivo ripiegamento culturale del mondo musulmano negli ultimi secoli. La cultura europea invece, con le sue doppie radici greco-cristiane, ha creato condizioni per generare idee sempre nuove, meravigliose o terribili che fossero, ispiratrici di sviluppi storici a loro volta meravigliosi o terribili. L’occidente si è sempre risollevato dalle sue crisi senza bisogno di nuovi slanci religiosi, ma basandosi su un pensiero declinato in modo laico, anche quando religiosamente ispirato. Personalmente ritengo questo umanesimo l’aspetto fondante della cultura europea, ed il motivo di fondo per cui, nel bene e nel male, mi riconosco in essa.


venerdì 16 gennaio 2015

I gatti di Istanbul

A Istanbul è pieno di gatti. Ce ne sono tantissimi, e non sto parlando di randagi segaligni e spelacchiati, come avevo visto ad esempio in Israele. I gatti di Istanbul sono pasciuti, puliti, sani e decisamente amichevoli. Sono abitanti alla pari della città, non intrusi, e non hanno nulla del carattere furtivo dei gatti di bassifondi. Il primo impatto l’ho avuto con un gattone che attraversava altero Santa Sofia, senza minimamente curarsi dei turisti che aveva intorno. Ma nei giorni successivi ne ho visti tantissimi altri, e il fenomeno è così evidente che ci sono anche siti tutti dedicati a loro. Pare il motivo sia l’alta considerazione in cui sono tenuti i gatti nei paesi arabi, un po’ per le loro doti di cacciatori, un po’ magari per reminiscenze egiziane, un po’ perché anche Maometto pare li amasse. Qualunque sia il motivo, buon per loro.



giovedì 15 gennaio 2015

Istanbul, giorno 5

A Istanbul c’è molto, ma per uscire dai normali circuiti turistici (in definitiva concentrati su un’unica piazza e i monumenti che vi si affacciano) basta veramente pochissimo. Già Santa Irene non se la fila nessuno, che pure è dentro la prima cinta del Topkapi. Col suo paramento in mattoni, è la chiesa che più mi ha ricordato il bizantino ravennate. Peccato che dentro sia vuota, addirittura alla mercé dei piccioni.



La moschea di Soqollu Mehmet Pascià, un altro dei gioielli di Sinan, è ancora più estranea al flusso turistico, e per questo molto più autentica: nessuna insegna in inglese, nessuna attenzione ai turisti, solo una piccola ma bellissima moschea vissuta dai suoi fedeli, primi fra tutti i ragazzi della madrasa abbinata all’edificio. Arrivo proprio mentre il muezzin richiama alla preghiera, e i ragazzi insieme agli altri fedeli entrano lasciando le scarpe all’esterno. Mi permetto una veloce sbirciatina, il tempo per apprezzare lo splendido interno e osservarli mentre, guidati dall’imam, pregano tutti in fila di fronte al mihrab.




Un’altra moschea lì vicino è la piccola Santa Sofia, anch’essa, come l’omonima sorella maggiore, una chiesa convertita in moschea. La trovo praticamente deserta, il che la rende ancora più suggestiva.




Il vero pezzo forte è la moschea di Rustem Pascià, ancora di Sinan. È accanto al bazar delle spezie, ed è sopraelevata, costruita sopra un piano terra occupato da botteghe e viuzze. Le vie d’accesso sono strette scalinate che si aprono all’improvviso nel bazar sottostante, e la sorpresa è grande quando si scopre che sopra un quartiere animato e popolare si apra uno spazio così raffinato. Fra le moschee di Sinan, questa è quella con il maggior uso delle maioliche realizzate nella città turca di Iznik, all’epoca all’apice della loro produzione. Sono talmente belle che all’uscita mi compro volentieri un libro a loro dedicato.



Preso il tram e poi la funicolare, si passa il ponte di Galata e si arriva a piazza Taksim, cuore della Istanbul moderna. La piazza di per sé non è gran che, ma da lì parte Istikal Caddesi, la principale via commerciale di Istanbul, che è tutta un’altra storia. Animata da una fiumana ininterrotta di gente, soprattutto giovani, la via è pedonale e percorsa solo da un tram storico che fa avanti e indietro, la cui natura di attrazione è svelata già dalle dimensioni del suo minuscolo vagone, vista la sproporzione fra i passeggeri che può portare e l’immane folla fra cui si fa faticosamente largo. Circa a metà della lunga strada c’è una buffissima chiesa cattolica, costruita nel primo novecento in stile finto romanico-gotico-laqualunque, che esibisce sia dentro che fuori una natività attorniata da una selva di alberi di natale (!).





La sera è la vota dei dervisci rotanti, mistici sufi che si avvicinano a Dio attraverso musica e danza. Per quanto si tratti a tutti gli effetti di una cerimonia religiosa, la loro performance è salvaguardata dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità, per cui è possibile assistere in contesti selezionati: biglietto salato, poco pubblico, niente foto né applausi. La suggestione della cerimonia è indescrivibile: i dervisci ruotano come all’infinito, apparentemente senza sforzo, in un percorso a tappe che simboleggia la natura ciclica dell’universo e il percorso dell’anima alla ricerca di Dio.

mercoledì 14 gennaio 2015

Istanbul, giorno 4

Finalmente il Topkapi. Non che fosse quello che più attendevo, ma è stato interessante, forse per motivi imprevisti. Si tratta di un grande complesso palaziale, servito per molti secoli come palazzo dei Sultani prima che, verso la fine dell’impero, scegliessero un modello di vita - e di conseguenza dimore - più affini allo stile occidentale. È sviluppato in una serie di corti successive, con padiglioni ed edifici vari sparsi per tutta l’area. Come regola generale, più si procede verso l’interno più gli spazi si fanno privati, di esclusiva pertinenza del sovrano. Fa eccezione l’harem, disposto lateralmente più o meno a metà percorso, dove risiedevano le concubine e la potentissima regina madre, sorvegliate dagli eunuchi di palazzo. 




Fonte perpetua di mille suggestioni orientaliste, l’harem è interessante soprattutto per le decorazioni interne. È tutto ricoperto di ceramiche con gli usuali arabeschi ottomani, e alcuni ambienti sono di grande suggestione. Tuttavia, così come tutto il palazzo, è architettonicamente disorganico, e rende bene l’idea di una civiltà che, pur capace di grande raffinatezza, delegava le sue manifestazioni di potenza più che altro allo sfoggio di lusso e magnificenza. In definitiva, la cultura degli ottomani rivela le loro origini nomadi, e come già successo altrove, la dinamica fra nomadi e stanziali prevede che i primi, laddove prevalgano, assumono di fatto la cultura dei secondi, magari conferendogli un afflato diverso. Penso ai mongoli, alla cultura musulmana che in molti ambiti si è fondata su quella persiana, e adesso agli ottomani, che invece sono partiti dal modello bizantino. Lo stesso Sinan era cristiano (era un giannizzero, milizia reclutata fra i non musulmani) e di formazione cosmopolita, non certo il tipico ottomano anatolico.




Se c’è una cosa che più di ogni altra testimonia questo sincretismo (per non dire sudditanza) culturale da parte degli ottomani è la persino ingenua ammirazione che i sultani provavano per le ceramiche cinesi. Ecco, di venire a Istanbul e trovare una delle più grosse collezioni al mondo di ceramiche cinesi, è qualcosa che proprio non mi aspettavo. Alcuni pezzi sono dei veri capolavori, con molte ceramiche Celadon (quelle in realtà perfezionate dai coreani), molto considerate perché ritenute in grado di svelare i veleni cambiando colore.
Stesso discorso vale per il Tesoro di palazzo, una collezione di oggetti preziosi in esposizione permanete, quasi tutti oggetti di lusso (gemme e diamanti in ogni dove) più che di alto valore artistico.



L’altra grande attrazione della giornata è stato il Gran Bazar: l’antenato e al tempo stesso l’esempio più eclatante del concetto di “galleria commerciale”. È un autentico labirinto, un dedalo di vicoli con migliaia di negozi e una fiumana ininterrotta di gente che sciama in ogni dove. La domanda che sorge spontanea è quale sia la forza economica che sottende a questa spropositata vocazione al commercio. Se una volta il ruolo di Istanbul come crocevia mercantile fra Europa e Asia era più che giustificato, ad occhio penserei che oggi la situazione debba essere molto diversa. E allora? Sono solo i turisti a tenere in piedi questa veneranda istituzione? Mi sembra ugualmente improbabile. Chissà. C’è evidentemente qualcosa che mi sfugge.



martedì 13 gennaio 2015

Istanbul giorno 3

Dopo la giornata tranquilla di ieri, oggi ho recuperato macinando un discreto numero di chilometri. Col Topkapi che continua a sfuggirmi, chiuso per il secondo giorno consecutivo, ripiego sui vicini musei archeologici. Ospitano una collezione enorme, con reperti provenienti non solo dall’Anatolia ma da tutte le regioni che componevano l’impero Ottomano, inclusi Egitto e Mesopotamia. Ci sono anche i reperti di Troia, e fa una certa impressione ricondurre il mito alla realtà archeologica. I criteri espositivi non sono dei migliori, ma il materiale esposto è di grandissima qualità.



Il pomeriggio è stata la volta della bellissima moschea di Solimano, capolavoro di Sinan e probabilmente il più bell’edificio di Istanbul, almeno fra quelli visti finora. Era il momento che aspettavo, e non mi ha deluso. L’esterno è vigoroso e potente, l’interno di una perfezione formale da togliere il fiato. Partendo dal modello di Santa Sofia, una grande aula con cupola centrale attorniata da semicupole, Sinan lo porta a un livello di equilibrio ed armonia senza precedenti. Santa Sofia appare maestosa e solenne, in questo decisamente medioevale, mentre la moschea di Solimano fa un’impressione molto diversa, nettamente rinascimentale: e di vero rinascimento ottomano si può parlare, in equilibrio delicatissimo fra naturalezza raggiunta quasi senza sforzo e solidissimo controllo intellettuale. 





Interessante notare come la posizione leggermente più defilata rispetto a Santa Sofia e ai suoi annessi immediati (Topkapi, moschea Blu, cisterna), provochi un crollo verticale nel numero di turisti, e questo va a tutto vantaggio dell’atmosfera. Solimano il Magnifico, che portò l’impero Ottomano al suo apogeo, è sepolto qui, e subito fuori dal recinto della moschea c’è anche la tomba dello stesso Sinan, a cui rendo il doveroso omaggio.





Scendo poi verso il ponte di Galata, che attraversa la affollatissime acque del Corno d’Oro, e mi dirigo verso l’omonima torre, costruita dai genovesi e uno degli edifici più caratteristici di Istanbul, da cui si gode del più bel panorama della città. E mentre sono su, con Santa Sofia e le moschee da un lato e i grattacieli dall’altro, tutti i muezzin di Istanbul cominciano il loro canto, che si fonde in una suggestiva cacofonia.

lunedì 12 gennaio 2015

Istanbul giorno 2

Oggi era il giorno terribile, quello in cui in teoria doveva nevicare, e anche parecchio. Alla fine non è caduto un fiocco, ma ha sempre piovuto, per cui la giornata è stata uggiosa e tranquilla, con due uscite al mattino e al pomeriggio molto mirate e non lunghissime.
Si comincia con la famosa cisterna basilica, imponente opera idraulica ora trasformata in un’attrazione di grande suggestione. È un’enorme sala ipostila, sostenuta da una selva di colonne e contenuta da mura spesse quattro metri, appositamente trattate perché resistano all’acqua. Le colonne sono di tutti i tipi, da quelle ben levigate e sormontate da bei capitelli corinzi ad altre appena sbozzate e sormontate da capitelli senza decorazione alcuna. L’impressione è che l’abbiano costruita usando materiale di varia provenienza senza curarsi troppo dell’estetica, ed è normale, visto che in fin dei conti la sala non doveva essere visitabile. Per cui non è strano imbattersi in alcune stranezze: una colonna decorata con motivi spiraliformi che non avevo mai visto, perfetta per un tempio dedicato a Cthulu, e due enormi teste di Medusa usate come basamento di altre due colonne, per qualche misterioso motivo una messa a testa in giù, l’altra posata di lato. Ma soprattutto colpisce l’atmosfera del luogo: enorme, oscuro, le cui dimensioni effettive si perdono nel buio, a dare a tratti l’impressione di uno spazio che si estende all’infinito. Il percorso avviene su passerelle di legno, sospese sopra un lago sotterraneo profondo circa mezzo metro, abitato da grandi pesci che si muovono lenti e appaiono come fantasmi fra le basi delle colonne, per poi sparire di nuovo nell’oscurità. Non fosse stato per tutti i turisti presenti, sarebbe stata un’esperienza ancora più forte.





Poi è la volta del bazar delle spezie, tanto per stare al coperto: un tripudio di profumi e colori, mentre dalla moschea vicina il muezzin richiama alla preghiera.

E questa, proprio questa, sarebbe la "Sublime Porta". Seriously?

domenica 11 gennaio 2015

Istanbul, giorno 1

A differenza di altre volte, quello a Istanbul è un viaggio che ho pianificato molto poco. La spinta principale è stata la necessità quasi fisica di sottopormi a un flusso di impressioni diverse, di cui sentivo fortemente il bisogno dopo gli sforzi lavorativi autunnali. Per staccare davvero sentivo che non bastava il riposo, occorreva una buona dose di “altro”. Istanbul mi è sembrata subito la meta ideale: ho gli strumenti storico-culturali per capire quello che avrei visto, ho una motivazione specifica legata all’opera di Sinan, ho la voglia di confrontarmi con un vero paese islamico, per quanto decisamente europeizzato.

Con un po’ di ritardo, il viaggio vola via liscio. Ad attendermi in aeroporto trovo lo shuttle dell’hotel, che mi porta a destinazione. La strada fino all’hotel mi racconta di una città moderna, illuminata, viva. L’albergo è in pieno Sulthanamet, il quartiere storico di Istanbul, con tutti i principali luoghi di interesse a due passi e, giocoforza, pieno di turisti. Pazienza.
Una prima rapida occhiata alle pittoresche viuzze intorno all’hotel e, con la cena mangiata in aereo ancora sullo stomaco, me ne vado a letto.



Il primo giorno lo dedico a guardarmi intorno. Passeggiando arrivo in pochi minuti a Santa Sofia, che si apre su una grande piazza in fondo alla quale si staglia l’imponente moschea Blu. Accanto, una piazza ancora più grande, vestigia del vecchio ippodromo di Costantinopoli, con ancora al loro posto i monumenti che ne decoravano la “spina” centrale: un obelisco egizio, un altro in pietra costruito da Giustiniano, la famosa “colonna serpentina” portata qui dal santuario di Apollo a Delfi. Da qui provengono anche i cavalli di bronzo che fanno bella mostra di sé a Venezia, sulla facciata di San Marco.

La piazza è sempre animata, e nella folla si vede di tutto. Soprattutto per quel che riguarda le donne: ci sono quelle vestite all’occidentale, quelle con solo il velo, quelle che al velo abbinano un vestito lungo, elegante e spesso colorato, quelle vestite come le precedenti ma di colori più sobri, quelle col niqab nero che lascia visibili solo gli occhi. Ma poiché qui è tutto un brulicare di turisti, è ancora presto per tirare conclusioni.





Da fuori Santa Sofia è un ammasso di volumi invero un po’ disorganico, a causa di aggiunte successive che nei secoli sono servite a sostenerla ma che l’hanno anche rivestita e nascosta, proprio come gli abiti lunghi per le donne religiose. Dentro, invece, trasmette un fortissimo senso di unità ed armonia. Non è a pianta centrale ma lo sembra, dominata com’è dalla cupola centrale che fa non solo da chiave di volta, come accade anche in molte chiese occidentali, ma da vero e proprio principio ispiratore dello spazio, nel senso che è il culmine di una serie di spazi ascendenti (semicupole, absidi, pennacchi etc.) tutti basati sulla linea curva e sulla superficie sferica. Santa Sofia è come un aggregato di bolle cresciute l’una sull’altra fin quasi a formare una massa compatta, e questa rimane la cifra di tutta l’architettura Ottomana su essa modellata.




A rompere la simmetria centrale ci sono tuttavia le navate e l’abside col bel mosaico della Madonna. È chiaro che si tratta di una chiesa, con gli interventi per trasformarla in moschea palesemente posticci: il mihrab disassato rispetto all’edificio, gli enormi tondi calligrafici appesi come elementi decorativi che risaltano più in quanto corpi estranei che per la oro forza intrinseca.
In definitiva, non è possibile nascondere l’ammirazione per un edificio che è stato a lungo la più grande e augusta chiesa della cristianità, ma soprattutto che ha influenzato profondamente molta architettura successiva, da San Marco a Venezia a tutta l’architettura ottomana propriamente detta, a partire proprio da Sinan, che con essa si è costantemente confrontato.



La seconda tappa è, inevitabilmente, la moschea blu. Dall’esterno l’adesione al modello di Santa Sofia e insieme il tentativo di superarla, fosse solo per la posizione, sono evidenti. Ma per quanto la massa imponente della moschea chiuda la piazza con bell’equilibrio, l’ingresso dalla parte dell’ippodromo risulta pesante e non memorabile. Dentro ci si trova di fronte a una grande aula a pianta centrale sostenuta da quattro poderosi pilastri, completamente ricoperta da migliaia di piastrelle in ceramica policroma, con netta prevalenza del blu, da cui il nome. Indubbiamente suggestivo, non c’è che dire, ma anche qui forse un po’ eccessivo.

Essendo questa una moschea in uso, è possibile visitarla solo quando non è in corso la preghiera. Si entra scalzi, portandosi dietro le scarpe in un sacchetto di plastica o al più posandole in appositi scaffali. Se da una parte mi è molto piaciuto vedere una moschea attiva e un islam “normale” lontano anni luce dagli estremismi di cui si parla continuamente in TV, dall’altra il fatto che le donne siano relegate a un “recinto” apposta per loro mi ha dato da pensare. Come ulteriore sorpresa, all’uscita c’era anche una distribuzione di dolci (squisiti) e regalavano dei Corani in svariate lingue: l’italiano non c’era, l’ho preso in inglese.