Non faccio in tempo a rimettere piede in hotel che
Nakamura-san mi ricontatta. Ci diamo appuntamento per la cena, e mi porta a un
ristorante di soba, a suo dire fra i migliori di Tokyo. In effetti il posto è
pieno zeppo, e ci tocca aspettare un po’ fuori. La soba, un tipo di spaghetti
di grano tenero servita fredda e mangiata intinta in salsa di soia aromatizzata
con spezie, è in effetti squisita. Dopo ci si sposta in un altro localino che
fa dolci tradizionali, a base di riso e di fagioli rossi, ottimi anch'essi.
Poi Nakamura-san, che ci ha preso gusto, mi propone
l’esperienza definitiva: il Maid Cafè. Potevo forse lasciarmi sfuggire un’occasione
del genere?
L’esperienza è stata davvero surreale. Si arriva, al quinto
piano di uno dei palazzi di Akihabara, e si attende il nostro turno perché il
locale è pieno. Entrati, si viene presi in consegna da quella che sarà la
nostra maid per tutta la serata, una morettina sorridente di età indefinibile
(spero per amor di Dio che fosse almeno maggiorenne), tutta agghindata nel suo
vestitino da camerierina francese, linguaggio puccettoso d’ordinanza e
atteggiamenti da innocente ninfetta. Ci spiega che ci sono delle regole: niente
foto, niente richieste di appuntamento, niente biglietti da visita passati alle
maid. Poi ci illustra il menù, spiegando in dettaglio gli extra che lei
aggiungerà per rendere speciale ogni ordinazione. Alla mia povera interprete
tocca un cappuccino sulla cui schiuma la maid disegna un orsetto kawaii, con
noi che, unite le mani a formare un cuore, recitiamo una filastrocca e lanciamo
strali in direzione della tazza per “rendere il caffellatte più gustoso con la
forza dell’amore”, o qualcosa del genere. Al collega di Nakamura-san tocca un
cocktail shackerato al ritmo di un’altra filastrocca, a Nakamura-san e a me una
semplice birra, che evidentemente non si presta troppo ad essere puccettizzata.
Se non che il buon Nakamura-san, che ci ha preso ancora più gusto, per ma ha
fatto un’ordinazione che prevede un bonus speciale: l’opportunità di una foto
con la nostra maid indossando orecchie da pirla. Potevo esimermi?
Una dignità in fumo
Mentre accade tutto questo, show time! Un tizio vestito in
modo discutibile è lì con gli amici per celebrare il compleanno, e viene
invitato sul palco, con tutte le maid che gli cantano una canzoncina, gli regalano
un dolce e una foto con tutte loro. E giù applausi.
A fine serata restano un po’ di spunti di riflessione.
Razionalmente capisco che i Maid Cafè soddisfano la fantasia maschile di
vedersi servito e riverito da belle ragazze in minigonna che ti trattano come
fossi il loro signore e padrone, e al contempo posso capire la motivazione
delle maid che, soldi a parte, possono trovare gratificanti le attenzioni di
centinaia di uomini (in gran parte ragazzi, ma non solo) che sono lì per
ammirarle in un contesto che è demenziale molto più che equivoco, e comunque al
riparo dal rischio molestie. Ma pur capendo tutto questo, e stando
tranquillamente al gioco, penso che siamo di fronte all’espressione di una
differenza culturale profonda per quel che riguarda il rapporto fra i due sessi,
e che una cosa del genere da noi non sarebbe possibile, se non come “curiosità
proveniente dallo strano Giappone” da esibire alle fiere di fumetto. In
definitiva, le maid sono una versione contemporanea delle geishe, con
l’immaginario otaku al posto di danza e cerimonia del tè.
E dunque, cosa ne penso? Che più che degradante, è una
turbocazzata carpiata con doppio avvitamento, una roba che se fossi in un gioco
di ruolo ne usciresti con -50 punti QI. Ma in un mondo in cui tutto ha un
valore economico, forse va bene così: che esista un’esperienza in cui si paga
per sentirsi imbecilli, orecchie da pirla o meno.