Chissà come (ma so
come), chissà perché (ma so perché), Macao mi era rimasta nei tasti. E
ovviamente scrivo queste righe nel momento meno adatto, quando avrei ben altro
da fare e al tempo stesso il disperato bisogno di fare altro. Macao è
l'aliscafo usato per raggiungerla da Hong Kong, dopo una lunga attesa per il
maltempo; è la pioggia che mi accoglie con una breve ma intensa tempesta
tropicale; è l'incredibile angolo di Portogallo trapiantato in piena Asia; è la
facciata della Cattedrale di San Paolo, rimasta in piedi come uno scheletro
bruciato dopo l'incendio che ha distrutto la chiesa, simbolo plastico di un
colonialismo avvizzito come un ramo secco. Sono i simboli cinesi e cristiani
incisi sulla facciata, è il fiume di gente che vi si dirige, è il senso della
storia, passato e presente, che si respira da queste parti. È il nuovo battito
del mondo. È anche la pacchianeria ingenua di questo mondo nuovo, i casinò
dalle forme improbabili, la grandeur di ponti ciclopici che corrono sul mare,
mentre da noi i ponti crollano, i simboli del boom italiano si sgretolano.