Algeri mi accoglie con quel misto fra organizzazione e disorganizzazione
che si confermerà tipico di questa prima trasferta africana. All’aeroporto, un
signore ci aspetta prima dell’uscita dal gate,
ci prende i passaporti e ci fa passare il controllo saltando la fila. Va bene
che siamo qui per un festival organizzato dal Ministero della Cultura, ma qui
la situazione sembra molto più “aumma-aumma” che ufficiale. Vabbè, mi dico, sarà
l’arte di arrangiarsi africana. Mi portano in hotel e, di nuovo, la stessa
sensazione. In questo caso è un misto fra lusso ostentato (camera enorme,
arredi sontuosi) e defaillance
organizzative talmente marchiane da lasciare stupefatti: tavoletta del cesso
staccata, assenza in bagno di un tappetino per i piedi, impressione di pulizia
accettabile ma non specchiata, la surreale prima colazione, quando al cibo
ottimo e abbondante si accompagna la mancanza di piatti, tazze e bicchieri
puliti, esauriti dopo pochi minuti nel disinteresse generale.
Ci portano subito al festival, dove si cena in una tenda vip
con un lunchbox che diventa la vera costante del festival. Il Fibda si tiene in
una piazza subito sotto il memoriale ai martiri della rivoluzione, enorme
monumento fallico visibile da tutta Algeri, reso ancora più pacchiano dal fatto
che ci hanno montato sopra un’antenna (!). Il festival di per sé è carino, di
chiara ascendenza francese. Anche qui: da una parte ben organizzato, con una
cura per certi dettagli che non mi sarei aspettato (l’allestimento delle
mostre, la borsa con cataloghi e gadget per gli ospiti etc.), dall’altra pieno
di situazioni assurde, come l’assenza di bagni (per andare in bagno bisogna
scendere in un vicino centro commerciale), gli stand di rappresentanza (come il
nostro) lasciati completamente sguarniti e di conseguenza totalmente inutili,
il programma degli ospiti ignoto, con noi italiani lasciati allo sbaraglio e io
che apparentemente me ne dovrò andare prima del mio intervento, che guarda caso
coincide con il volo di ritorno.
L’atmosfera però è rilassata, la compagnia piacevole, il
festival non privo di interesse.
All’ingresso del Fibda, così come all’ingresso dell’hotel,
si passa da un metal detector, ed è pieno di polizia ovunque. La direttrice dell’Istituto
Italiano, gioviale signora che si dà da fare come può, ci spiega che al momento
non ci sono problemi di sicurezza ad Algeri, mentre fuori e specialmente al sud
la situazione è abbastanza diversa. Ci dice anche che Algeri vive un momento di
slancio nel tentativo di lasciarsi alle spalle la terribile stagione del
terrorismo, e che il festival è un segno di questa rinnovata fame di cultura. C’è
da sperarlo.
Il modello di festival è tipicamente artistico, con una
trentina di ospiti da tutte le parti del mondo invitati e spesati dal
ministero. I paesi più presenti sono quelli che già in altre situazioni hanno
dimostrato di investire istituzionalmente sul fumetto, coreani e cinesi su tutti.
C’era però anche il successore di Ikus a Kommissia, e in più canadesi, francesi,
cubani ed altri. Si fanno buone pubbliche relazioni, ma a parte questo poco
altro. C’è però la possibilità di fare di meglio in futuro, se l’Istituto lo
volesse. Vedremo.
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