martedì 8 dicembre 2015

Algeri, parte 1

Algeri mi accoglie con quel misto fra organizzazione e disorganizzazione che si confermerà tipico di questa prima trasferta africana. All’aeroporto, un signore ci aspetta prima dell’uscita dal gate, ci prende i passaporti e ci fa passare il controllo saltando la fila. Va bene che siamo qui per un festival organizzato dal Ministero della Cultura, ma qui la situazione sembra molto più “aumma-aumma” che ufficiale. Vabbè, mi dico, sarà l’arte di arrangiarsi africana. Mi portano in hotel e, di nuovo, la stessa sensazione. In questo caso è un misto fra lusso ostentato (camera enorme, arredi sontuosi) e defaillance organizzative talmente marchiane da lasciare stupefatti: tavoletta del cesso staccata, assenza in bagno di un tappetino per i piedi, impressione di pulizia accettabile ma non specchiata, la surreale prima colazione, quando al cibo ottimo e abbondante si accompagna la mancanza di piatti, tazze e bicchieri puliti, esauriti dopo pochi minuti nel disinteresse generale.






Ci portano subito al festival, dove si cena in una tenda vip con un lunchbox che diventa la vera costante del festival. Il Fibda si tiene in una piazza subito sotto il memoriale ai martiri della rivoluzione, enorme monumento fallico visibile da tutta Algeri, reso ancora più pacchiano dal fatto che ci hanno montato sopra un’antenna (!). Il festival di per sé è carino, di chiara ascendenza francese. Anche qui: da una parte ben organizzato, con una cura per certi dettagli che non mi sarei aspettato (l’allestimento delle mostre, la borsa con cataloghi e gadget per gli ospiti etc.), dall’altra pieno di situazioni assurde, come l’assenza di bagni (per andare in bagno bisogna scendere in un vicino centro commerciale), gli stand di rappresentanza (come il nostro) lasciati completamente sguarniti e di conseguenza totalmente inutili, il programma degli ospiti ignoto, con noi italiani lasciati allo sbaraglio e io che apparentemente me ne dovrò andare prima del mio intervento, che guarda caso coincide con il volo di ritorno.
L’atmosfera però è rilassata, la compagnia piacevole, il festival non privo di interesse.





All’ingresso del Fibda, così come all’ingresso dell’hotel, si passa da un metal detector, ed è pieno di polizia ovunque. La direttrice dell’Istituto Italiano, gioviale signora che si dà da fare come può, ci spiega che al momento non ci sono problemi di sicurezza ad Algeri, mentre fuori e specialmente al sud la situazione è abbastanza diversa. Ci dice anche che Algeri vive un momento di slancio nel tentativo di lasciarsi alle spalle la terribile stagione del terrorismo, e che il festival è un segno di questa rinnovata fame di cultura. C’è da sperarlo.

Il modello di festival è tipicamente artistico, con una trentina di ospiti da tutte le parti del mondo invitati e spesati dal ministero. I paesi più presenti sono quelli che già in altre situazioni hanno dimostrato di investire istituzionalmente sul fumetto, coreani e cinesi su tutti. C’era però anche il successore di Ikus a Kommissia, e in più canadesi, francesi, cubani ed altri. Si fanno buone pubbliche relazioni, ma a parte questo poco altro. C’è però la possibilità di fare di meglio in futuro, se l’Istituto lo volesse. Vedremo.

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