mercoledì 1 gennaio 2014

Il Comic Market

Il Comic Market si è rivelato un’esperienza estremamente interessante. Non la manifestazione in sé, che a parte le dimensioni ciclopiche non ha nulla di particolarmente rilevante, ma proprio il fenomeno che ne sta alla base, ovvero le “doujinshi”. Sono sia le dimensioni che la natura del fenomeno a impressionare. Praticamente, decine di migliaia di gruppi creano le loro fanzine, e poi vengono qui a proporle a un pubblico di oltre mezzo milione di persone. E non si tratta solo di fumetti: c’è di tutto, dai romanzi ai trattati di giardinaggio, dai videogiochi ai CD musicali, dai gadget ai photobook, e chi più ne ha più ne metta. Si tratta di un gigantesco fenomeno di autoespressione dal basso, e il manga è forse solo il mezzo più accessibile, ma non certamente l’unico. Secondo un professore dell’università Meiji di cui non ricordo il nome, ma con cui ho avuto il piacere di intrattenere un’interessante conversazione a cena, si tratta di un segno dei tempi. Secondo lui, viviamo in un’epoca in cui i contenuti non calano più dall'alto, dal creatore-artista al suo pubblico, ma piuttosto emergono dal basso, dal pubblico stesso che si fa autore, come accadeva nel mito e in altre forme di espressione autenticamente popolare. Si tratta di un fenomeno tipicamente giapponese, e il prof cita esempi di quelle che oggi chiameremmo fanzine risalenti addirittura al periodo Edo. Sul perché di questo gigantesco fenomeno che non ha uguali al mondo, vengono in mente generalizzazioni sociologiche che probabilmente lasciano il tempo che trovano, come quella che si tratti del contraltare di una società per altri versi estremamente regolata e in cui i rapporti sociali sono basati sul confuciano principio d’autorità.



È anche vero, come afferma il professore, che quella che emerge dall’insieme di queste produzioni è una rappresentazione fedele dei bisogni e desideri della società nel suo complesso. In effetti girando per i banchi del Comic Market è difficile scrollarsi di dosso l’impressione che si tratti di un fenomeno sociale prima che creativo o artistico. In questo senso il paragone con realtà come la nostra Self Area rischia di essere estremamente fuorviante. Laddove le nostre autoproduzioni sono una pratica artistico-produttiva che nasce sì in alternativa a un sistema editoriale mainstream, ma puntando sostanzialmente allo stesso obiettivo, qui l’impressione è che il processo conti più del risultato finale.

Di sicuro, questa rappresentazione dei bisogni collettivi parte da un grado zero che è il sesso. La sessualizzazione del Comic Market è elevatissima ed equamente divisa fra i due sessi, e quest’ultimo aspetto non fa che confermare quello spunto vagamente polemico nei confronti di certe posizioni femministe che avevo già espresso negli incontri che ho tenuto sull'identità di genere. 
Chiacchierando con gli organizzatori, mi hanno spiegato come il primo giorno sia principalmente dedicato alle ragazze, con una massiccia presenza di yaoiste, il secondo sia un po’ una via di mezzo mentre il terzo sia dedicato principalmente ai maschi. A maggior ragione allora mi dispiace non aver potuto assistere al primo giorno, che sicuramente avrebbe fornito spunti interessanti, e di aver avuto poco tempo il secondo. Il terzo giorno era effettivamente pieno di doujinshi erotiche, vuoi parodie che originali. Il pubblico era in netta prevalenza maschile, ma c’erano comunque parecchie ragazze, e assai di più se si considera chi stava dietro i banchi, comprese anche un folto gruppo di cosplayer che proponeva i propri album fotografici sexy. La morale sessuale dei giapponesi è estremamente meno repressiva della nostra, ma è stato comunque interessante trovarsi in un evento a così alta partecipazione di pubblico, in gran parte giovane e che brillava per la sua normalità, in cui era comunemente accettato, ed anzi dato per scontato, il fatto che entrambi i sessi abbiano fantasie esplicite e fortemente caratterizzate (si legga alla voce "stereotipi") sul sesso opposto.

Uno potrebbe chiedersi se davvero ci sia così tanto bisogno dell’ennesimo fumetto porno, ma sarebbe la domanda sbagliata: perché è ovvio che, al di là dei contenuti, quello che è importante è la condivisione di un’esperienza di creazione dal basso che unisce autori e pubblico in un’unica comunità. Le parodie erotiche sono un caso esemplare, perché rappresentano un fenomeno di appropriazione dei personaggi da parte del pubblico, che su essi costruisce fantasie condivise che hanno senso solo all'interno della comunità dei fan.
Inquadrandolo in un contesto più generale, è chiaro che un fenomeno di tali enormi dimensioni è il combustibile su cui si nutre un sistema-fumetto il cui motore è un’industria editoriale estremamente aggressiva (sia sul fronte del pubblico che su quello degli autori) e il cui albero di trasmissione è un sistema di copyright “creator-owned” che porta alla rotazione continua di contenuti e autori, che emergono spesso proprio dalle file dei fanzinari.


È facile immaginare come dei professionisti possano emergere dagli appassionati che affollano il Comic Market per andare ad affollare le fila di autori e autrici che si cimentano nei generi più affini alle comunità di provenienza (porno e yaoi da un lato, shonen e shojo dall’altro), difficile dire se un autore più sofisticato possa emergere da questo contesto o non piuttosto in opposizione ad esso. Perché se da una parte sono d’accordo col professore quando dice che le doujinshi rappresentano una forma di cultura popolare che esprime bisogni sociali collettivi, dall'altra l’immaginario che ho visto al Comic Market partiva sì dal basso, ma non è chiaro quanto in alto arrivasse. Probabilmente non molto.

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