venerdì 3 gennaio 2014

A proposito di file

Quelle sulle file sono state le ultime parole famose. 
Ho deciso di andare al più famoso tempio shintoista di Tokyo, il Meiji-jingu, che mi era sfuggito nel mio primo viaggio. Come il nome lascia intuire, è dedicato all'imperatore Meiji e alla consorte Shoken, di cui ospita le essenze divinizzate. L’imperatore Meiji e consorte sono considerati un po’ i padri della patria, perché avviarono la modernizzazione del paese dopo aver restaurato l’impero, sottraendo il potere agli shogun militari che lo avevano di fatto usurpato più di due secoli prima. Il tempio fu costruito dopo la sua morte, ed è il massimo di antichità che i tokiensi possano permettersi.



Il tempio è di un’altra categoria rispetto a quelli visti finora: situato in un bel boschetto urbano, non sembra proprio di trovarsi a Tokyo tanto è tranquillo. Si accede attraverso un ombroso percorso fra gli alberi, passando sotto almeno tre “torii”, i tipici portali dei templi shintoisti. Capodanno è passato, e non mi aspetto di trovare grosse code. Grosso errore, che il 2 gennaio è evidentemente ancora MOLTO festivo. C’è un flusso di gente enorme, che nelle vicinanze del tempio diventa una fila gigantesca. Come al solito un battaglione di poliziotti è al lavoro per disciplinare la folla, usando megafoni, cartelli e quant'altro. Porto pazienza e decido di sobbarcarmi la fila da bravo giapponese. I poliziotti fanno entrare in gruppi, e dopo una quarantina di minuti è finalmente il mio turno. L’intero gruppone viene portato di fronte all'edificio principale dove avviene il rito della preghiera con lancio di monetina, gettata in una specie di grande vasca preparata per l’occasione. Sembra di essere alla fontana di Trevi. Alla fine, tutti in gruppo così come siamo entrati, i poliziotti ci fanno defluire verso l’uscita per lasciare spazio al gruppo successivo. Fuori c’è la solita vendita di amuleti e oracoli assortiti e innumerevoli banchetti di cibo tradizionale. Prendo un’eccellete okonomiyaki (una sorta di frittellona con dentro un po’ di tutto) e me ne torno in hotel.





La sera Nakamura-san mi ha offre una cena di sushi in un bel localino di quelli tradizionali, in cui si entra in pochi e si siede al bancone. E ad accompagnare il sushi, uno spumante italiano, sakè e birra. Sembra un film, una di quelle scene in cui i giapponesi si ritrovano dopo il lavoro con i colleghi, mangiano e (soprattutto) bevono a volontà. Fortunatamente c’era un ragazzo nippo-australiano che mi fa da interprete. Non sono un appassionato di sushi, ma in definitiva la cena è stata eccellente.



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