domenica 5 gennaio 2014

I templi di Kyoto

Oggi sono andato per templi.

Chiariamo subito una cosa. I templi giapponesi non sono singoli edifici, tipo le nostre chiese. Sono composti da più edifici con varie destinazioni, residenziali, di servizio e di culto. Sono dei conventi, ma diversi dai nostri che per quanto articolati al loro interno sono pur sempre dei complessi unitari. Possono presentarsi a volte come un insieme di ville sparse in un grande parco, a volte come veri e propri quartieri, a volte come cittadelle. La loro importanza non è mai stata solo religiosa, ma anche politica e militare, come prova la storia turbolenta di molti di essi, rasi al suolo e ricostruiti più volte. La loro architettura non differisce da quella civile, nel senso che nessun edificio è riconoscibile dall'esterno per quella che è la sua funzione, e molti templi sono effettivamente partiti da ville residenziali poi trasformate per volontà dei loro signori.

Per quanto sia a conoscenza dei principi fondamentali, il mio interesse primario nell'avvicinarmi ai templi di Kyoto non è quello religioso. Per quanto conosca anche i fatti storici principali che hanno visto protagonista questa città, neanche questo è l’aspetto fondamentale. Entrambi aiutano, ed anzi sono propedeutici per quella che è la mia vera motivazione, essenzialmente estetica e artistica. L’architettura giapponese deriva da quella cinese, ma rispetto a questa ha aggiunto dei tratti autoctoni inconfondibili, che la rendono modernissima e in grado di dialogare in modo fertile con il mondo contemporaneo. I principi di fondo: prevalenza della dimensione orizzontale su quella verticale, equilibrio fra linee orizzontali e verticali nell'edificio vero e proprio, equilibrio fra le linee rette del corpo di fabbrica e linee curve del tetto sovrastante, studiata asimmetria nella disposizione degli edifici, studiata integrazione con l’ambiente naturale, in un processo estremamente raffinato, insieme estetico, intellettuale e spirituale.
Sono più o meno le lezioni che ne ha tratto Frank Lloyd Wright, applicate in tutte le sue case a partire da quella meravigliosa “Casa sulla cascata” che ho visto in Pennsylvenia. Venire qui e vedere di persona è come chiudere un cerchio.

La prima stazione è una delle più famose: il Kinkaku-ji, o Padiglione d’Oro, che ho imparato a conoscere nell'omonimo, splendido romanzo di Yukio Mishima. Era una villa residenziale, ed il nome deriva dal fatto che tutto l’edificio è ricoperto da foglia d’oro. Peccato che il cielo fosse nuvoloso, perché sotto il sole lo spettacolo dovrebbe essere davvero abbagliante.



Si passa poi al Ryoan-ji, che contiene il più famoso giardino di pietra zen. Essenzialmente, si tratta di una rappresentazione stilizzata della natura a base di pietre accuratamente disposte, che emergono come isole in mezzo a un mare di ghiaia finemente rastrellata. Lo scopo era quello di favorire la meditazione, ed in effetti è difficile descrivere a parole la profonda impressione suscitata da questo giardino, che emana una bellezza e una forza spirituale incomparabili.




Terzo e ultimo stop di questa fredda giornata è il Daitoku-ji, vero e proprio quartiere che comprende più di venti templi, di cui solo alcuni aperti al pubblico. Nel suo complesso, sembra lo scenario di un film di samurai, un luogo fuori dal tempo immerso nel tessuto urbano. Il Daisen-in, uno dei sottotempli visitabili, contiene un altro famoso giardino di pietra, più complesso e carico di simboli dell’altro, cosa che lo ha reso, almeno per me, meno efficace. Purtroppo al suo interno le foto erano proibite, per cui mi limito a qualche immagine più generale.



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