La fine del festival coincide con una visita all'archivio
del museo del Manhwa, una specie di bunker sotterraneo a cui si accede
attraverso misure di sicurezza degne di una banca. Dentro la responsabile, una
splendida ragazza che parla un inglese perfetto, ci illustra il lavoro che
viene condotto lì. Reprimo un moto d’invidia, e alla fine lei mi spiega in una
semplice frase i motivi di un supporto istituzionale che per me ha del
miracoloso: “siccome qui in Corea non abbiamo risorse naturali, abbiamo deciso
di investire in contenuti”. Il che vuol dire industria culturale e istruzione,
che ne è alla base. Semplice e disarmante.
È ora di muovere verso Seul, e mi accompagna Gino, assieme
ad Anna Voronkova di Kommissia, che rivedo volentieri a qualche anno di
distanza dal primo incontro a Mosca. Ci sistemiamo nei rispettivi hotel, poi
Gino si offre di portarci in giro. Sembra una barzelletta: ci sono un italiano,
una russa e un coreano a spasso per Seul. Hilarity ensues.
Una prima rapida occhiata a Seul e alla fauna locale
Dopo un breve giro nei dintorni del mio hotel, caratterizzato
dalla presenza di un prestigioso campus femminile che influenza abbondantemente
la fauna locale, approfittiamo della macchina di Gino per riuscire da Seul,
paralizzata nella sua parte centrale dalla presenza del Papa, e dirigerci a
nord, nella zona demilitarizzata al confine con la Corea del Nord. È il famoso
38esimo parallelo, teatro della guerra di Corea (quella di MASH, e magari fosse
stata così divertente) e ora confine con quello che probabilmente è lo stato
più tragicamente paradossale del XXI secolo. Pagando un biglietto piuttosto
salato è possibile penetrare più a fondo nella DMZ, sotto il controllo dei
militari, e visitare anche alcuni dei tunnel che la Corea del Nord aveva
provato a scavare per invadere il sud. Ma a me basta essere arrivato qui, in questo
luogo trasformato in memoriale. C’è una locomotiva sventrata rimasta ferma sui
binari per più di 50 anni, divenuta simbolo della separazione fra le due Coree.
C’è il monumento ai caduti, un museo e l’immancabile negozio di souvenir. C’è
un grande prato in cui la gente viene per fare picnic e far volare aquiloni, o
dove si tengono concerti per la pace, come quello in programma oggi. E c’è un
osservatorio, una struttura sopraelevata con dei binocoli, attraverso i quali
puoi seguire la vecchia ferrovia, oltre il ponte sul fiume ormai distrutto, che
si perde in una gola in fondo alla quale si intravedono le prime alture della Corea
del Nord. E insomma, come per stelle e galassie attraverso un telescopio, pur
se da lontano posso dire di aver visto dal vivo la Corea del Nord. E fa
un’impressione decisamente strana.
Laggiù in fondo c'è la Corea del Nord
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