giovedì 15 gennaio 2015

Istanbul, giorno 5

A Istanbul c’è molto, ma per uscire dai normali circuiti turistici (in definitiva concentrati su un’unica piazza e i monumenti che vi si affacciano) basta veramente pochissimo. Già Santa Irene non se la fila nessuno, che pure è dentro la prima cinta del Topkapi. Col suo paramento in mattoni, è la chiesa che più mi ha ricordato il bizantino ravennate. Peccato che dentro sia vuota, addirittura alla mercé dei piccioni.



La moschea di Soqollu Mehmet Pascià, un altro dei gioielli di Sinan, è ancora più estranea al flusso turistico, e per questo molto più autentica: nessuna insegna in inglese, nessuna attenzione ai turisti, solo una piccola ma bellissima moschea vissuta dai suoi fedeli, primi fra tutti i ragazzi della madrasa abbinata all’edificio. Arrivo proprio mentre il muezzin richiama alla preghiera, e i ragazzi insieme agli altri fedeli entrano lasciando le scarpe all’esterno. Mi permetto una veloce sbirciatina, il tempo per apprezzare lo splendido interno e osservarli mentre, guidati dall’imam, pregano tutti in fila di fronte al mihrab.




Un’altra moschea lì vicino è la piccola Santa Sofia, anch’essa, come l’omonima sorella maggiore, una chiesa convertita in moschea. La trovo praticamente deserta, il che la rende ancora più suggestiva.




Il vero pezzo forte è la moschea di Rustem Pascià, ancora di Sinan. È accanto al bazar delle spezie, ed è sopraelevata, costruita sopra un piano terra occupato da botteghe e viuzze. Le vie d’accesso sono strette scalinate che si aprono all’improvviso nel bazar sottostante, e la sorpresa è grande quando si scopre che sopra un quartiere animato e popolare si apra uno spazio così raffinato. Fra le moschee di Sinan, questa è quella con il maggior uso delle maioliche realizzate nella città turca di Iznik, all’epoca all’apice della loro produzione. Sono talmente belle che all’uscita mi compro volentieri un libro a loro dedicato.



Preso il tram e poi la funicolare, si passa il ponte di Galata e si arriva a piazza Taksim, cuore della Istanbul moderna. La piazza di per sé non è gran che, ma da lì parte Istikal Caddesi, la principale via commerciale di Istanbul, che è tutta un’altra storia. Animata da una fiumana ininterrotta di gente, soprattutto giovani, la via è pedonale e percorsa solo da un tram storico che fa avanti e indietro, la cui natura di attrazione è svelata già dalle dimensioni del suo minuscolo vagone, vista la sproporzione fra i passeggeri che può portare e l’immane folla fra cui si fa faticosamente largo. Circa a metà della lunga strada c’è una buffissima chiesa cattolica, costruita nel primo novecento in stile finto romanico-gotico-laqualunque, che esibisce sia dentro che fuori una natività attorniata da una selva di alberi di natale (!).





La sera è la vota dei dervisci rotanti, mistici sufi che si avvicinano a Dio attraverso musica e danza. Per quanto si tratti a tutti gli effetti di una cerimonia religiosa, la loro performance è salvaguardata dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità, per cui è possibile assistere in contesti selezionati: biglietto salato, poco pubblico, niente foto né applausi. La suggestione della cerimonia è indescrivibile: i dervisci ruotano come all’infinito, apparentemente senza sforzo, in un percorso a tappe che simboleggia la natura ciclica dell’universo e il percorso dell’anima alla ricerca di Dio.

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