Arrivato a Pechino dopo uno sfiancante viaggio in notturna,
decido subito di dirigermi verso piazza Tienanmen, che dista un paio di
chilometri.
La sobrissima stazione centrale di Pechino è proprio di fronte al mio hotel
La prendo come una passeggiata per cominciare a guadarmi intorno
(tanto per il ritorno c’è la metro) e la raggiungo all’imbrunire. Mi si para
davanti in tutta la sua evidente contraddizione. La piazza è enorme, tutta
circondata dalle severe architetture del realismo socialista, e tuttavia aperta
proprio di fronte alla Città Proibita, la massima espressione dell’ideologia
centralizzata della Cina imperiale. Il faccione sorridente di Mao appeso sul
portale della Città Proibita rende evidente il tentativo di ricollegarsi a
quella tradizione, quasi che i comunisti fossero una dinastia come le altre,
quella a cui, in questa fase storica, è stato conferito il “mandato celeste”. A
ulteriore contraddizione, tutto intorno ci sono i segni del recente capitalismo
cinese, a sbugiardare completamente quell’ideologia collettivista,
evidentemente accessoria, nel cui nome la piazza era stata apparentemente
costruita. Mi chiedo cosa ne avrebbe pensato il presidente Mao.
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