domenica 4 settembre 2016

Kyoto 2016

Rieccomi a Kyoto. Chi l’avrebbe detto?

È bello quando torni in un luogo che ti è in qualche modo familiare ma che offre ancora molto da scoprire. Ti senti a tuo agio, padrone di quell’approccio “esperto” proprio di chi ha già metabolizzato il primo impatto e si muove solo per approfondire.

L’hotel vicino alla stazione è la base ideale per esplorare i dintorni di Kyoto, in primis Arashiyama, che avevo tralasciato alla prima visita. Bellissimo il tempio Tenryuji, casa madre della potente setta buddista Rinzai, e in particolare notevole il giardino, prototipo dei giardini zen che si sarebbero evoluti verso la stilizzazione massima dei giardini di pietra. Questo usa elementi naturali (acqua, rocce, piante) sapientemente disposti, ed è creato per integrarsi perfettamente con l’ambiente naturale circostante.





Mi siedo in veranda e osservo, e in effetti dopo un po’ entro in uno stato contemplativo. C’è sempre qualcosa da osservare, un riflesso sull’acqua, una libellula che vola via come un elicottero, una roccia della “cascata senz’acqua”. Ogni tanto una carpa affiora in superficie e genera onde circolari che si spandono lente.
Insomma, notevole.



All’uscita del giardino si estende un’incredibile foresta di bambù, spessa e densa come nel film “La tigre e il dragone”. E a proposito di dragoni, riesco anche, da fuori, a dare una rapida occhiata al notevole dragone volante dipinto sul soffitto di uno degli edifici del tempio, purtroppo inaccessibile.



Dopo Arashiyama è la volta del tempio di Inari. L’esperienza di Inari è unica: una serie di templi dedicati ad Inari, la volpe, il kami del successo terreno. È talmente pieno di statue di volpe che, in uno strano cortocircuito pop, non posso fare a meno di pensare a Persona 4. Dal tempio base parte un percorso di alcuni chilometri che si inerpica sull’omonimo monte Inari, fiancheggiato da migliaia e migliaia di torii, i portali dei tempi shintoisti, a comporre una specie di tunnel mistico. La camminata si completa in circa un’ora e mezza, e con tutte quelle scale è una bella faticaccia. Ma ne vale la pena, eccome.





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