domenica 4 settembre 2016

Corea 2016

Partenza da Roma con gli atleti di Rio, elegantissimi nella divisa di Armani. Nessuno famoso, mi pare, ma in fondo che ne so?

E dunque, di nuovo in Corea. Trasferta lavorativa e senza fronzoli, ma utile per capire ancora qualcosa in più su questo popolo, che si percepisce, ed è, una specie di anello di congiunzione fra i cinesi (rozzotti, rumorosi, pieni di sé) e i giapponesi (complessati, omologati, cerimoniosi). Per riassumere in una parola, i coreani sembrano, a noi europei, assolutamente normali; e questo, considerati i vicini, è un fatto che ha quasi dell’incredibile.


Il momento top di questi pochi giorni è stato la visita alla mostra di Nam June Paik, che qui è una specie di gloria locale. È incredibile come con i suoi totem retro-futuristi e con la spettacolare installazione della tartaruga di monitor riesca a toccare contemporaneamente così tanti tasti (i nuovi media e i vecchi, lo status dell’immagine video, la condizione umana in questi tempi ipertecnologici) in modo così classico, direi quasi apollineo. Non c’è traccia di gratuità nelle sue opere, non c’è aggressione sensoriale, non c’è rumore, non c’è critica o polemica, non c’è provocazione, ma solo un messaggio limpido, una lezione di stile assoluta. Chapeau.


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