giovedì 20 settembre 2018

Macao


Chissà come (ma so come), chissà perché (ma so perché), Macao mi era rimasta nei tasti. E ovviamente scrivo queste righe nel momento meno adatto, quando avrei ben altro da fare e al tempo stesso il disperato bisogno di fare altro. Macao è l'aliscafo usato per raggiungerla da Hong Kong, dopo una lunga attesa per il maltempo; è la pioggia che mi accoglie con una breve ma intensa tempesta tropicale; è l'incredibile angolo di Portogallo trapiantato in piena Asia; è la facciata della Cattedrale di San Paolo, rimasta in piedi come uno scheletro bruciato dopo l'incendio che ha distrutto la chiesa, simbolo plastico di un colonialismo avvizzito come un ramo secco. Sono i simboli cinesi e cristiani incisi sulla facciata, è il fiume di gente che vi si dirige, è il senso della storia, passato e presente, che si respira da queste parti. È il nuovo battito del mondo. È anche la pacchianeria ingenua di questo mondo nuovo, i casinò dalle forme improbabili, la grandeur di ponti ciclopici che corrono sul mare, mentre da noi i ponti crollano, i simboli del boom italiano si sgretolano.









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