venerdì 20 marzo 2015

Milano, Porta Nuova

Approfittando di una giornata milanese che mi ha visto cambiare la bellezza di ben sei treni, e che per la prima volta – causa Italo – si è imperniata sulla stazione di Porta Garibaldi, ho finalmente potuto dare un’occhiata da vicino al progetto di Porta Nuova, il nuovo “centro direzionale” milanese. Vogliamo parlarne? Parliamone. 


È cosa nota (a me stesso e a quei pochi cui le mie opinioni sono note) che non sono un grande sostenitore di questo tipo di quartieri, tutti uffici e grattacieli. Non ho cambiato idea, ma stavolta ci sono indubbiamente degli elementi apprezzabili, più dal punto di vista urbanistico che da quello architettonico. Il fatto che si tratti di un progetto unitario si nota immediatamente, perché è evidente lo sforzo (assente in altre situazioni similari) di integrare il quartiere nello spazio urbano circostante, non solo esteticamente ma anche funzionalmente. Alleluia. Fatto salvo il fatto che la funzione residenziale, per quanto prevista, è aleatoria ai limiti del demenziale, per evitare che il quartiere si trasformi in uno scintillante deserto dei tartari al di fuori degli orari di ufficio si è giocata la carta del parco urbano con finalità ricreative e commerciali. C’è molto verde, ci sono passaggi pedonali e ciclabili, c’è un auditorium in costruzione, c’è soprattutto piazza Gae Aulenti, chiusa come un anfiteatro dagli edifici della torre Unicredit, che, a quel che ho visto, sembra in grado di proporsi come centro vitale autonomo. Ci sono tocchi sicuramente eleganti e molto italiani, come quella curiosa opera d’arte sonora che collega con tubi di ottone la piazza al livello sottostante, o più prosaicamente, come i biliardini messi a disposizione gratuitamente che innescano tornei improvvisati fra impiegati.


La torre Unicredit è sicuramente il perno visivo dell’intero complesso. Non si tratta di un edificio altissimo, il che è apprezzabile. Ma a parte questo, non mi ha colpito particolarmente: la guglia è una citazione del duomo che trovo piuttosto scolastica, e al di là della forma inusuale non c’è nulla di molto diverso dalla solita, onnipresente architettura ingegneristica in vetro e acciaio. Il vetro ha smesso da tempo di essere sinonimo di luminosità e leggerezza, e questi edifici hanno ormai tutti un’aria plumbea, quasi lugubre. Lisci e lucidi come lapidi, sono sterili superfici grigie e verdi che nel riflettersi a vicenda creano un inquietante effetto di vuoto pneumatico.


Le torri residenziali sul retro dell’auditorium sono brutte e banali, e io non ci vivrei neanche se mi regalassero un appartamento, che rivenderei immediatamente a uno di quelli che sembrano i suoi utenti predestinati: studi legali, uffici di professionisti, aziende di servizi che vogliano darsi un tono. In quella che appare come un’autentica barzelletta, sotto le squadratissime torri residenziali c’è una piazzetta dedicata ad Alvar Aalto, il poeta della linea curva.


lol

E poi c’è l’acclamato Bosco verticale, l’edificio di gran lunga più interessante dell’intero complesso. L’idea è ottima, ma forse più interessante della sua realizzazione concreta. Magari l’effetto complessivo sarà migliore quando le piante saranno verdi e rigogliose, ma dall’edificio in sé mi sarebbe piaciuto qualcosa di più del solito scatolone terrazzato. Onore comunque a Stefano Boeri.


In definitiva, se Milano voleva un quartiere moderno in grado di rivaleggiare con le altre capitali europee e ridefinire quel concetto per poveri di spirito che è la “skyline”, il risultato è raggiunto in modo più che soddisfacente.

A fronte di tutto ciò, a chiosa perfetta della giornata, l’architettura più interessante che ho visto oggi è stata la stazione dell’alta velocità di Reggio Emilia, inconfondibile opera di Calatrava. Qualcosa vorrà pur dire.

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