Approfittando di una giornata milanese che mi ha visto
cambiare la bellezza di ben sei treni, e che per la prima volta – causa Italo –
si è imperniata sulla stazione di Porta Garibaldi, ho finalmente potuto dare
un’occhiata da vicino al progetto di Porta Nuova, il nuovo “centro direzionale”
milanese. Vogliamo parlarne? Parliamone.

È cosa nota (a me stesso e a quei
pochi cui le mie opinioni sono note) che non sono un grande sostenitore di
questo tipo di quartieri, tutti uffici e grattacieli. Non ho cambiato idea, ma stavolta
ci sono indubbiamente degli elementi apprezzabili, più dal punto di vista
urbanistico che da quello architettonico. Il fatto che si tratti di un progetto
unitario si nota immediatamente, perché è evidente lo sforzo (assente in altre
situazioni similari) di integrare il quartiere nello spazio urbano circostante,
non solo esteticamente ma anche funzionalmente. Alleluia. Fatto salvo il fatto
che la funzione residenziale, per quanto prevista, è aleatoria ai limiti del
demenziale, per evitare che il quartiere si trasformi in uno scintillante
deserto dei tartari al di fuori degli orari di ufficio si è giocata la carta del
parco urbano con finalità ricreative e commerciali. C’è molto verde, ci sono
passaggi pedonali e ciclabili, c’è un auditorium in costruzione, c’è
soprattutto piazza Gae Aulenti, chiusa come un anfiteatro dagli edifici della
torre Unicredit, che, a quel che ho visto, sembra in grado di proporsi come
centro vitale autonomo. Ci sono tocchi sicuramente eleganti e molto italiani, come
quella curiosa opera d’arte sonora che collega con tubi di ottone la piazza al
livello sottostante, o più prosaicamente, come i biliardini messi a
disposizione gratuitamente che innescano tornei improvvisati fra impiegati.

La torre Unicredit è sicuramente il perno visivo dell’intero
complesso. Non si tratta di un edificio altissimo, il che è apprezzabile. Ma a
parte questo, non mi ha colpito particolarmente: la guglia è una citazione del
duomo che trovo piuttosto scolastica, e al di là della forma inusuale non c’è
nulla di molto diverso dalla solita, onnipresente architettura ingegneristica
in vetro e acciaio. Il vetro ha smesso da tempo di essere sinonimo di
luminosità e leggerezza, e questi edifici hanno ormai tutti un’aria plumbea, quasi
lugubre. Lisci e lucidi come lapidi, sono sterili superfici grigie e verdi che
nel riflettersi a vicenda creano un inquietante effetto di vuoto pneumatico.

Le torri residenziali sul retro dell’auditorium sono brutte e
banali, e io non ci vivrei neanche se mi regalassero un appartamento, che
rivenderei immediatamente a uno di quelli che sembrano i suoi utenti
predestinati: studi legali, uffici di professionisti, aziende di servizi che
vogliano darsi un tono. In quella che appare come un’autentica barzelletta, sotto
le squadratissime torri residenziali c’è una piazzetta dedicata ad Alvar Aalto,
il poeta della linea curva.
lol
E poi c’è l’acclamato Bosco verticale, l’edificio di gran
lunga più interessante dell’intero complesso. L’idea è ottima, ma forse più
interessante della sua realizzazione concreta. Magari l’effetto complessivo sarà
migliore quando le piante saranno verdi e rigogliose, ma dall’edificio in sé mi
sarebbe piaciuto qualcosa di più del solito scatolone terrazzato. Onore
comunque a Stefano Boeri.
In definitiva, se Milano voleva un quartiere moderno in
grado di rivaleggiare con le altre capitali europee e ridefinire quel concetto
per poveri di spirito che è la “skyline”, il risultato è raggiunto in modo più
che soddisfacente.
A fronte di tutto ciò, a chiosa perfetta della giornata, l’architettura
più interessante che ho visto oggi è stata la stazione dell’alta velocità di
Reggio Emilia, inconfondibile opera di Calatrava. Qualcosa vorrà pur dire.