domenica 7 gennaio 2018

Hong Kong, giorno 1

Hong Kong mi accoglie con aspetti contrastanti. Nel viaggio dall'aeroporto all'hotel si succedono visioni quasi incongrue: la natura subtropicale, il mare tutto promontori e isolette, palazzoni enormi e all'apparenza disabitati che sembrano sorgere dalla natura stessa, ponti ciclopici, giganteschi lavori di costruzione, il porto come unico segno di una qualche vita industriale, con migliaia di container multicolori ma stranamente con nessuna presenza umana in vista. Tant'è che mi comincio a chiedere, sgomento come solo a New York, se viva qualcuno in questi luoghi al tempo stesso benedetti e dimenticati da Dio. Poi finalmente si entra nella città vera e propria e si respira tutta un'altra aria. I palazzoni anonimi diventano i grattacieli di Hong Kong Island, stretti fra un mare blu davanti e uno verde dietro, e proprio per questo a una prima impressione meno arroganti di quelli di New York. Poi si entra a Kowloon, dove ho l'hotel, e la parte popolare della città finalmente si palesa, piena di gente, di traffico, di insegne al neon che sembrano di un'altra epoca, di incredibili ponteggi di bambù, di strade strette e vicoletti, dimostrazione plastica che lo spazio da queste parti è un lusso. Viene facile pensare che in un posto così, compresso in un fazzoletto di terra stretto fra mare e natura incontaminata, moderno e di un vecchio che sembra quasi antico, che ostenta affiancate ricchezza e anima popolare, possa accadere di tutto, dai gangster di John Woo alla fantascienza in stile Blade Runner. Per oggi è anche troppo, mi limito a collassare.





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